Però che strano, l’ultimo anno di mandato di un’amministrazione comunale, di solito è sempre un’esplosione di tagli di nastri, inaugurazioni, le feste sono sempre un trionfo di luce e consensi, senza pensare alle “foche” di Ferragosto che quest’anno – a dire il vero – sono stati un po’ fiacchi, le luminarie natalizie fino allo scorso anno hanno avvolto il centro rendendolo sfavillante e accogliente poi… è arrivato il Natale 2023, quello della chiusura…

Non si capisce per quale meccanismo mentale, all’improvviso, tutto diventa scialbo, opaco, dozzinale come quelle palle di Natale o sfere o come si chiamano che decorano il centro cittadino. Le nazional luminarie, con un innato senso bambinesco, hanno sempre svolto il compito di animare, farci uscire dal torpore delle problematiche giornaliere, facendoci alzare il volto verso il cielo così addobbato. Un po’ di felicità, che non possono dare, ma un po’ di luce che aiuta ad illuminare i nostri volti un po’ tristi e incupiti per le difficoltà oggettive che ci circondano.

Luci che, alla fine, non sono poi così banali anzi, rispecchiano il grado di speranza che, nonostante tutto, serve a dare la spinta emotiva per rialzarci e mordere la vita che ci attende. Senza troppa filosofia e sfidando l’adagio “panem et circenses”, tutti abbiamo bisogno di sentirci parte di una comunità, con i suoi riti, le sue contraddizioni, le sue dispute però il tutto condito con il desiderio di vedere la città finalmente fuori dalla melma dell’immobilismo. Già, al pari della “mosceria” delle attuali luminarie c’è l’altrettanta viscosità della nostra città: il traffico paralizzante e il suo relativo inquinamento, la caccia ad un posteggio, la poca vicinanza ai cittadini da parte dello Stato locale, sempre più patrigno e meno benevolo per chi lavora e paga le tasse (non poche).

Tutte questioni aperte a cui la politica deve dare una risposta, senza bacchette magiche o ricette strane, ma con gesti decisi e comprensibili perché una comunità può stringere i denti, dare credito al capo famiglia ma poi se le attese non corrispondono alle promesse, l’autorevolezza si smarrisce e il ruolo non viene più riconosciuto e tantomeno seguito. Per questo il sentimento comune è quello di attendere un nuovo segnale, dalla politica e soprattutto dagli uomini che la rappresentano e, sinceramente, dopo dieci anni di proteste e speranze, Civitavecchia è ancora ferma lì, al palo delle speranze che tali, dopo dieci anni, sono sempre lì.

Non mi sembra che per fare un “cambio di passo”, segnare una discontinuità con il lassismo imperante, rimettere in moto la “speranza” servano uomini o donne della Provvidenza, tantomeno autorevoli servitori dello Stato in quiescenza. Perfino la tanto “odiata” macchina comunale necessita di un’iniezione di fiducia e di slancio, una condivisione della “vision” del progetto politico che il candidato sindaco deve non solo avere ma sentire, pulsargli dentro.

Non è una questione di addobbi natalizi ma quanta speranza vogliamo che i civitavecchiesi ritrovino appena escono dalla loro casa, dal lavoro per chi lo ha e la voglia di riscatto per chi aspetta o ne è ai margini. E’ la nostra storia, in definitiva, quella degli italiani, brava gente, che però non vuole essere presa in giro, che pretende una classe dirigente, pronta a fare un passo indietro se i suoi interessi non coincidono con quelli della città.

Illuso? Forse, ma noi, quelli di tutti giorni, delle file per la prenotazione per una visita urgente tra sei mesi, le ore sul treno per andare e tornare da Roma con la vita che ti passa davanti al finestrino, l’impossibilità ad avere un piccolo appartamento per iniziare la piccola comunità con la persona che ami e così via. Abbiamo tutto il diritto di pretendere dalla politica il rispetto e dettare le condizioni per un vero contratto con i cittadini.

M.T.