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FIUMICINO – Il dopo-pandemia ha confermato che il Tevere resta una delle principali vie di accesso dei rifiuti al mar Tirreno.
Uno studio pubblicato sulla rivista "Science of the Total Environment", frutto di un'analisi congiunta di ISPRA e Università Roma Tre, ha quantificato la portata del problema monitorando i macrorifiuti galleggianti trasportati dal fiume attraverso le due foci di Fiumara Grande e Canale di Fiumicino. Nonostante un calo complessivo rispetto al periodo pre-Covid, la densità di rifiuti resta elevata, attestandosi a 1170±151 oggetti per chilometro quadrato, con una forte incidenza di materiali monouso.
I dati raccolti tra marzo 2021 e febbraio 2022, attraverso un monitoraggio costante su entrambe le foci, fotografano una situazione ancora critica. Il Tevere, dopo aver attraversato la Capitale, si divide poco prima del mare dando origine a due sbocchi che insieme trasportano ogni anno circa 900.000 oggetti galleggianti. La plastica continua a farla da padrone, rappresentando oltre il 90% del totale, seguita a distanza da carta, gomma, tessili e metalli.
Rispetto al quadriennio 2016-2019, è stata osservata una riduzione inferiore al 34% del quantitativo totale di macrorifiuti. Un dato che, se da un lato segnala l'effetto delle restrizioni pandemiche sulle attività umane lungo il fiume, dall'altro è controbilanciato dall'emergere di nuove tipologie di scarti: è aumentata, infatti, la percentuale di oggetti monouso, soprattutto imballaggi e dispositivi sanitari.
Tra i rifiuti rilevati spiccano mascherine e guanti monouso, una presenza mai registrata prima del Covid-19 nelle analisi condotte lungo il corso del Tevere. Nonostante il loro peso numerico sia inferiore ad altri oggetti, rappresentano un indicatore importante delle nuove abitudini e delle nuove criticità ambientali. Inoltre, più della metà dei materiali recuperati misura meno di 10 centimetri, segno evidente che gran parte dei rifiuti arriva in mare già frammentata, con implicazioni ancora più gravi per gli ecosistemi.
Le osservazioni hanno anche evidenziato una marcata stagionalità nella dispersione dei rifiuti: i picchi maggiori sono stati registrati in autunno, mentre il minimo si è avuto in estate. Questa tendenza, già riscontrata in studi precedenti, è stata confermata per entrambe le foci e si lega principalmente alle dinamiche delle precipitazioni, che in autunno favoriscono il trascinamento dei rifiuti abbandonati lungo gli argini.
A differenza di quanto ipotizzato, tuttavia, la velocità del fiume non è risultata strettamente correlata al tasso di trasporto dei macrorifiuti. Un risultato che suggerisce la presenza di variabili più complesse, tra cui le attività antropiche stagionali e la conformazione delle sponde.
Tra gli oggetti più frequentemente osservati figurano pezzi di plastica non identificabili, frammenti di polistirolo, bottiglie di plastica, sacchetti e tappi. Questi cinque gruppi da soli rappresentano circa l'80% del totale. Gli scarti più ingombranti tendono a rimanere intrappolati nella vegetazione ripariale o a sedimentare lungo le rive, mentre i frammenti più piccoli raggiungono il mare, entrando in maniera silenziosa ma devastante nella catena alimentare marina.
Il tratto finale del Tevere, regolato dalla diga di Castel Giubileo, è caratterizzato da una bassa velocità di corrente che favorisce la permanenza dei rifiuti in sospensione. Prima di raggiungere le due foci, il fiume attraversa zone densamente urbanizzate, portando con sé i residui di attività turistiche, insediamenti suburbani, agricoli e marittimi.
Ecco dunque il perché del fatto che, in certi periodi, la darsena di Fiumicino assomigli più ad una discarica che ad un alveo destinato alle barche.
La presenza di marinerie turistiche e pescherecci nei pressi di Fiumicino e Fiumara Grande complica ulteriormente il quadro, sebbene i rifiuti riconducibili alla pesca risultino in percentuali relativamente contenute (circa l'1,5%).
Uno degli aspetti più preoccupanti emersi dallo studio riguarda il processo di frammentazione precoce dei materiali plastici: prima ancora di raggiungere il mare aperto, i rifiuti si scompongono in pezzi sempre più piccoli, favorendo la formazione di microplastiche che sfuggono ai sistemi di raccolta e bonifica. L'esposizione ai raggi UV, le escursioni termiche e l'azione della vegetazione ripariale accelerano il degrado dei materiali, aumentando il rischio di contaminazione per la fauna acquatica.
La ricerca sottolinea come il fiume non debba essere considerato solo un canale di transito, ma un vero e proprio serbatoio di rifiuti in cui le dinamiche di accumulo, frammentazione e rilascio si intrecciano in modo complesso. Un fenomeno che richiede interventi mirati sia sulle sponde sia a monte, per prevenire la dispersione dei rifiuti prima che raggiungano il mare.
Il paragone con altri grandi fiumi europei mostra come il Tevere abbia livelli di macrorifiuti inferiori rispetto a corsi d'acqua come il Reno o la Mosa, ma non per questo trascurabili. L'importanza strategica del Tevere, che attraversa una metropoli come Roma e sfocia in un'area costiera ad alta valenza turistica come Fiumicino, rende urgente l'adozione di misure più incisive.
Il quadro che emerge, dunque, è quello di una criticità persistente, aggravata dalle nuove abitudini di consumo e da una gestione dei rifiuti ancora insufficiente a monte. La riduzione globale osservata nel periodo post-pandemico rischia di essere vanificata dall'aumento di prodotti usa e getta, se non si interviene con politiche di prevenzione, educazione ambientale e monitoraggi continui.
Fiumicino si conferma così uno dei punti nevralgici dove il fiume mostra, in modo più evidente, le ferite di un sistema economico e sociale ancora poco attento alla sostenibilità.