CIVITAVECCHIA – Con alle spalle un premio Goya al miglior cortometraggio, “Piggy” prende vita in versione estesa come opera prima della regista spagnola Carlota Pereda, vincendo anche un Méliès d’Or. Il film racconta la storia di Sara, una ragazza obesa e per questo bullizzata in modo crudele da tre coetanee che un giorno vengono rapite davanti ai suoi occhi. Come unica testimone del rapimento, la giovane si trova presto divisa tra l’assaporare la tanto agognata vendetta e il confessare ciò che sa. In “Piggy” il corpo della protagonista viene analizzato in maniera del tutto nuova rispetto al trattamento solitamente riservato al cinema a fisicità come la sua: infatti né funge da spalla comica per altri personaggi, né intende suscitare pena. Viene rappresentato per ciò che è: da una parte l’oggetto di scherno di una comunità grassofobica, e dall’altra la causa del malessere della stessa Sara, che mangia proprio per lenire il suo dolore, in un loop senza fine. Pereda sceglie di rappresentare questa grassezza come un intralcio, per gli altri e per la ragazza, non solo mostrandocela esplicitamente sullo schermo, ma ricorrendo a degli accorgimenti tecnici, come l’abbigliamento di Sara, sempre chiaro e aderente, a enfatizzarne il corpo ancor di più; e il rapporto d’aspetto che predilige un’immagine quadrata e non tipicamente rettangolare, in cui la protagonista entra a malapena e sta visivamente stretta. “Piggy” racconta l’orrore da due punti di vista: quello di Sara, vittima di uno spietato bodyshaming; e quello della società, a causa della repulsione che prova nei confronti del corpo della ragazza. Ciò si concretizza in una spirale sempre più spaventosa e spietata, che solo attraverso il desiderio di vendetta riesce a dare una voce a tutto il dolore e la rabbia inascoltati della protagonista, che trova un po’ di sollievo facendosi ammaliare dal Male nel momento in cui volge in suo favore, e soprattutto laddove chi lo perpetua è l’unica persona a considerarla, probabilmente per la prima volta nella sua vita, in modo positivo. Ribaltando i concetti stessi di corpo, orrore e quindi di “body horror”, Carlota Pereda con questo film offre agli spettatori una riflessione attuale e puntuale sulla fisicità e sulle sensazioni che suscita, e che da essa derivano

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