CIVITAVECCHIA – Quella del regista britannico Adrian Lyne è una carriera fatta di pochi film, ma tutti diventati dei grandi cult: una dimostrazione che la qualità delle proprie imprese è sempre più importante della loro quantità. Con all’attivo soltanto otto lungometraggi, tra cui “Flashdance”, il remake di “Lolita” (impresa, quella di trasporre il romanzo di Vladimir Nabokov, già messa in atto da Stanley Kubrick nel 1962) e il recente “Acque profonde”, basato sul romanzo di Patricia Highsmith e che ha segnato il ritorno dietro la macchina da presa dopo vent’anni di fermo, Lyne si è affermato ben presto come un regista dalla spiccata e riconoscibile identità cinematografica. I suoi spettatori, infatti, sanno bene che i suoi film sono degli indimenticabili thriller ricchi di suspense dove tutto scaturisce da una cupidigia erotica che trascina presto i protagonisti in un vortice tensivo da cui è impossibile fare ritorno. Eros e tanathos, dunque; un’accoppiata ossimorica ma sempre vincente, come nel caso del celebre “Attrazione fatale”, film del 1987 con protagonisti degli incredibili Michael Douglas e Glenn Close, entrambi in stato di grazia. I due interpretano Dan e Alex, una coppia insieme per due giorni fortuiti, nonostante il primo sia sposato e abbia una figlia. La sua decisione di lasciarsi alle spalle l’avventura carnale, con conseguente riavvicinamento alla famiglia, scatena la follia della donna, che pur di ottenere le attenzioni e l’amore di Dan si spingerà a compiere gesti sempre più malati. L’attrice riesce a calarsi perfettamente nei panni di una donna visibilmente disturbata, tanto da aggiudicarsi in breve tempo dall’esordio cinematografico la sua quarta candidatura al Premio Oscar e la terza al Golden Globe come miglior attrice. Il personaggio di Alex, grazie alla maestria e al talento di Glenn Close, diventa presto iconico anche nella cultura di massa, risultando un indimenticabile riferimento ogni qualvolta ci si ritrova a parlare di vere e proprie ossessioni. Lyne e Close, rispettivamente dirigendo e attuando, danno vita a un vero e proprio incubo di pazzia e talento filmico che diventa il simbolo di quella sinergia tra regista e interprete che risulta, infine, nella magia e nella meraviglia dell’artificio cinematografico.

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