Annamaria Lupi

Ultime ore per decidere la sorte di Talete. Giovedì scorso il previsto incontro della Consulta d'ambito è stato rinviato, probabilmente a domani, poi martedì torna a riunirsi l'assemblea dei sindaci. In ballo, tra la documentazione su cui verterà il confronto, anche le due relazioni sugli aumenti - pardon adeguamenti - tariffari da applicare da gennaio 2023.

Due relazioni da stilare sulla base di due diverse percentuali di rincaro - la minima dell'8,45 e la massima del 12,9 - per valutare quella più idonea su cui l’amministratore unico Salvatore Genova possa lavorare per dare “sollievo” alle asfittiche casse della società. Nell’ultima assemblea si era parlato di documenti di cui si sarebbe avuta notizia nel giro di 48 ore, visti i tempi strettissimi e l’urgenza di redigere il piano di risanamento anche sulla base dell'incremento tariffario. Ore che invece, da quella riunione del 14 novembre, si sono talmente dilatate da arrivare alla vigilia del fatidico 30 novembre. A questo punto martedì diventa il giorno in cui tutto dovrebbe essere svelato per addivenire alla decisione definitiva. Talete si salva? Con quali soluzioni e con quali ripercussioni su cittadini e Comuni? Con l’approssimarsi del 30 novembre il comitato “Non ce la beviamo” torna a ribadire la propria posizione contro la privatizzazione di Talete e, facendo riferimento a quei sindaci che si dichiarano per l'acqua pubblica però poi votano la privatizzazione, tuona: «Sull’acqua pubblica gli amministratori non possono fare il gioco delle tre carte». Per il comitato «l’andamento dell’incontro pubblico dello scorso 19 novembre, dedicato alla discussione delle “soluzioni tecniche per la gestione dell'acqua pubblica nella Tuscia”, ha confermato che il percorso della ripubblicizzazione del servizio è tecnicamente possibile, ma che la sua realizzazione dipende dalla volontà politica degli amministratori. E’ dunque giunto il momento dell’assunzione di responsabilità di fronte alla cittadinanza».

“Non ce la beviamo” esprime poi dubbi sulla «strana crisi permanente di Talete» sospettando che «sia stata sapientemente utilizzata per assuefare gradualmente i cittadini sull’inevitabilità della privatizzazione come unica soluzione possibile all’incapacità di Talete di gestire il servizio». Oltre a tutti gli aumenti attuati come condizione per ottenere il finanziamento Arera da 40 milioni, il comitato ricorda pure come sia stato «vano anche il cambio dell’amministratore unico che, pur certificando un bilancio in ordine a fine 2021, solo pochi mesi dopo iniziava a denunciare una ingovernabile situazione di dissesto dell'azienda. In poche settimane, a partire dal 2022, si giunge a prospettare il fallimento, il mancato pagamento degli stipendi ai dipendenti, la sospensione dell'erogazione dell'acqua dai rubinetti. Infine la morosità che viene additata come la causa principale della crisi, un vero macigno che rovescia in modo indiscriminato la responsabilità dei guai di Talete sui cittadini. Ma cosa è stato fatto negli anni precedenti per recuperarla? Chi sono i grandi morosi e perché non sono stati gestiti in modo adeguato?».

Stigmatizzando come «molte cose nella “crisi” Talete non quadrano e meritano di essere meglio approfondite», il comitato rileva invece come sia sempre ricorrente «lo scenario della privatizzazione». Il Coordinamento dei comitati per l’acqua pubblica rivolge infine un appello ai sindaci: «I tempi stringono, più delle parole ormai contano le azioni. Sappiamo che, se si lavora per farlo, i modi per trasformare Talete in un ente di diritto pubblico si possono trovare, senza “scassare” le finanze dei Comuni».