Don Ivan Leto*

Matteo scrive questo capitolo in un momento di profonda crisi della sua comunità. Il fervore iniziale si era affievolito, all'esterno continuavano ostilità e persecuzioni. La parola di Gesù sembrava rivelarsi un'amara illusione. Matteo descrive il ritorno di Cristo in termini apocalittici. Il rimando è alla vicenda di Noè, al diluvio universale: "come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell'uomo".

La distrazione, la noncuranza e la superficialità degli uomini impedirono loro di intravedere l'arrivo del diluvio. Noè (in ebraico "Noah" significa "condurre"). Noè conduce, salva tutta la vita che c'è e la conduce nell'arca.

Presi dalla quotidianità, dalle preoccupazioni, dalle distrazioni, come al tempo di Noè, corriamo seriamente il rischio di far morire la parte più vera di noi. Il problema è pensare che la vita consista nella somma di ciò che mangiamo, beviamo e facciamo. Noi siamo ciò per cui abbiamo vissuto.

Il segreto è avvolgere con l'amore le cose quotidiane. All'inizio della creazione, Dio aveva detto: "Siate fecondi" che noi abbiamo banalmente interpretato con "fate figli". Non si tratta di un criterio quantitativo (fate figli) ma qualitativo (sviluppate la vita che è dentro di voi). Compito dell'umanità era evolvere, divenire. I giorni di Noè sono i giorni della superficialità. Dopo aver paragonato la venuta del Figlio dell'uomo al diluvio, Matteo ne parla come dell'arrivo di un ladro, per questo invita a vegliare. Il Signore è un ladro strano perché non ruba nulla ma dona tutto. L'incontro con lui mette a soqquadro la casa, cambia la vita. Dio è sorpresa. Torniamo a lasciarci sorprendere, stupire, meravigliare.

*Don Ivan Leto


sacerdote della Diocesi


Civitavecchia - Tarquinia