TARQUINIA - Ha scritto alla Capitaneria di porto di Civitavecchia, al Comune di Tarquinia, al Comune di Civitavecchia, ufficio Demanio Marittimo, e al Ministero dell'Ambiente e della sicurezza energetica per presentare opposizione al parco eolico offshore che si vorrebbe realizzare a Tarquinia.

Alessandra Feuli si dice pronta a presentare opposizione in tutte le sedi opportune per poter bloccare quella che illustra come una vera e propria minaccia ambientale.

La professionista civitavecchiese si riferisce alla nota con la quale lo scorso agosto la società Helios energy srl, con sede a Potenza, ha presentato un’istanza di concessione demaniale marittima, per la durata di 40 anni, per l’occupazione di uno specchio acqueo e zone di demanio marittimo per la realizzazione e l’esercizio di un parco eolico offshore di tipo galleggiante denominato “Seabass” con relative opere di connessione alla Rete di trasmissione nazionale (Rtn), da localizzarsi a largo della costa del Lazio, nel Mar Tirreno, ad una distanza compresa tra i 12 e i 26 km dalla costa, con punto di approdo dei cavidotti sottomarini nel comune di Tarquinia.

La Feuli ha presentato nota di opposizione alla realizzazione del parco eolico offshore, «come azione di tutela del paesaggio marino e dell’integrità delle coste», sottolineando la «non idoneità dell’area all’alloggiamento di un parco eolico di tali dimensioni, che causerà il completo deturpamento della costa, dei fondali marini, delle bellezze naturali della Tuscia e della costa marina della Tuscia stessa, al deturpamento ancora della flora e fauna presenti nel mare prospiciente».

«Il territorio della Tuscia e le sue coste - afferma Alessandra Feuli - non possono diventare fornitori di energia del centro Italia, dimenticando la propria vita turistica e naturalistica e culturale, divenendo una mega area industriale. Ignorare l’impatto che tali interventi avranno è da stolti, il turismo di qualità, il paesaggio, l’agricoltura e le biodiversità verrebbero cancellati».

«In un’area già danneggiata dalla presenza di due centrali, Civitavecchia e Montalto, l’unica fascia di costa libera da tali oscenità, seppur utili alla comunità, non è concepibile un parco eolico che trasformerebbe il bacino che ospita le Saline di Tarquinia, che prevede l’approdo di milioni di turisti e croceristi volti alla vacanza non solo nella città di Roma ma anche nella Tuscia e nella provincia Viterbese, in un’area industriale - scrive nelle osservazioni Alessandra Feuli - Per non parlare dell’impatto sulla fauna e gli animali migratori che vivono nelle Saline (area protetta - Riserva Naturale Statale Ambito territoriale: Viterbo), situata a ridosso della costa dell'antica città etrusca di Tarquinia, la Riserva tutela l'unica salina del Lazio e una delle poche rimaste lungo la costa italiana, inattiva dal 1997».

«Nonostante la limitata estensione, 150 ettari di cui circa 100 di laguna costiera, è un sito di importanza notevole per la sosta, l'alimentazione e la riproduzione dell'avifauna - aggiunge la civitavecchiese - Per gli ambienti rappresentati e gli uccelli che la frequentano, la salina è riconosciuta tanto come sito d'importanza comunitaria (Sic) che come zona di protezione speciale (Zps). La Riserva è stata istituita con D. M. 25 gennaio 1980 (G.U. 20 febbraio 1980 n. 49) ed è gestita dal Corpo forestale dello Stato. La centralità assunta dalla tematica ambientale nei tempi recenti è testimoniata dall’intensa produzione normativa nazionale e comunitaria e dall’ampio dibattito dottrinario e giurisprudenziale. La Corte costituzionale ha delineato con assoluta chiarezza sin dagli anni Ottanta l’ambiente come “elemento determinativo della qualità della vita” e per questo “valore primario ed assoluto”, “bene unitario che va salvaguardato nella sua interezza”, “non suscettibile di essere subordinato ad altri interessi” (Sentenza n. 210/1987). Tesi queste confermate anche recentemente quando, nel 2002, la Corte Costituzionale, pronunciandosi sulla legittimità dell’articolo 117 come riformato nel 2001, ha affermato che l’ambiente non può ritenersi come singola materia, ma deve essere considerato come “Valore trasversale costituzionalmente protetto”. Si identifica dunque l’ambiente in una realtà priva di consistenza materiale ma espressiva di un autonomo valore collettivo diventando così specifico oggetto di tutela da parte dell’ordinamento. La Corte costituzionale riconosce espressamente il valore della salvaguardia dell’ambiente comprensiva di tutte le risorse naturali e culturali, come diritto fondamentale della persona e interesse fondamentale per la collettività, invitando a creare istituti giuridici per la sua protezione. L’ambiente viene identificato come “Bene immateriale unitario”, con riferimento all’ambito spaziale e alla complessità degli elementi che lo compongono (Sentenza n. 641 del 1987)".

"La nostra Costituzione fino ad oggi non contempla l’ambiente tra i principi fondamentali dell’ordinamento, limitandosi a sancire all’art. 9 la tutela del paesaggio e dei beni culturali. La Corte Costituzionale ha tuttavia colmato tale lacuna giungendo ad affermare la tutela ambientale attraverso il combinato disposto degli articoli 2, 9 e 32 della Costituzione. - ricorda Alessandra Feuli -  Nell’ambito del riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni di cui all’art. 117 della Costituzione, come novellato dalla Legge costituzionale n. 3 del 2001, troviamo al comma 2 la “Tutela dell’ambiente e degli ecosistemi” rimessa alla legislazione esclusiva statale, mentre il comma 3 affida alla legislazione concorrente altre materie strettamente connesse all’ambiente: la tutela e la sicurezza del lavoro, ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi, tutela della salute, alimentazione, protezione civile, governo del territorio, porti e aeroporti civili, grandi reti di trasporto e di navigazione, ordinamento della comunicazione, produzione, trasporto, e distribuzione nazionale dell’energia, valorizzazione dei beni culturali e ambientali. Questo poco chiaro criterio di riparto di competenze è stato la causa dei molti ricorsi costituzionali aventi ad oggetto le tematiche ambientali. Nelle diverse sentenze che sul tema si sono succedute, la Corte ha sempre invocato il rigoroso rispetto del principio di “leale collaborazione” tra Stato e Regioni quale unico strumento idoneo a bilanciare i diversi interessi emergenti tra i vari livelli istituzionali. L’art. 18 (oggi parzialmente abrogato) della Legge n. 349/1986, dopo aver precisato che l’azione di risarcimento del danno ambientale spetta allo Stato, prevede che le associazioni di protezione ambientale possano denunciare i danni ambientali e intervenire nei relativi giudizi. Come sottolineato dalla Corte di Cassazione (Sentenza n. 577/2006), “(…) La norma, pur costituendo un progresso nella tutela dell’ambiente, non è priva di rilevanti carenze e ambiguità, che hanno finito per influire negativamente sulla chiarezza della sua interpretazione e applicazione”. La Cassazione penale ha ammesso il ricorso alla “consulenza tecnica d’ufficio” per la prova del danno(Cassazione Civile Sezione I, 1.9.1995, n. 9211) ed ha, in alcuni casi, rimesso al “prudente apprezzamento” del giudice la valutazione della prova, stabilendo che “Nella materia ambientale una prova completa e minuziosa del danno è obiettivamente impossibile, perché alcuni effetti pregiudizievoli, pur costituendo un pregiudizio certo, si evidenziano con il tempo e sono di difficilissima dimostrazione (es. il pregiudizio all’immagine turistica del comune interessato). Chi inquina non può avvantaggiarsi delle difficoltà di quantificazione del danno ambientale; di conseguenza eventuali incertezze probatorie, se obiettivamente giustificabili, potranno essere considerate dal giudice nel suo prudente apprezzamento” (Cassazione penale, III sezione, 21.7.1988, n. 8318)".

"Sempre sulla prova del danno, - aggiunge Alessandra Feuli - la Corte di Cassazione, in un caso di violazione delle norme poste a tutela delle acque dall’inquinamento (art. 21, L. 319/76) ha statuito che: “È legittima la condanna generica, in sede penale, al risarcimento del danno ambientale, ai sensi dell’art. 18 L. 349/1986, in caso di accertata violazione di norme antinquinamento, penalmente sanzionate, senza che, al fine predetto, occorra che il titolare del diritto al risarcimento dia la prova dell’an debeatur, bastando che il fatto illecito accertato sia potenzialmente idoneo a produrre danno” (Cassazione, III sezione penale, sentenza 26.5.1994, n. 6190). Sulla natura patrimoniale del danno ambientale è chiarificatrice una famosa sentenza della Corte Costituzionale che ha stabilito che il danno ambientale è “certamente patrimoniale, sebbene sia svincolato da una concezione aritmetico-contabile e si concreti piuttosto nella rilevanza economica che la distruzione o il deterioramento o l’alterazione o, in genere, la compromissione del bene riveste in sé e per sé e che si riflette sulla collettività, la quale viene ad essere gravata da oneri economici” (sentenza n. 641/1987). L’ambiente, pur non essendo un bene appropriabile “(…) si presta ad essere valutato in termini economici e può ad esso attribuirsi un prezzo”. Il danno ambientale è considerato, oltre che come “danno patrimoniale”, anche come “danno non patrimoniale”, anche nella specie del “danno morale”. Ancora una volta è la Cassazione a delinearne il principio: “L’ambiente, inteso in senso unitario come bene pubblico complesso, caratterizzato dai valori estetico-culturale, igienico-sanitario ed ecologicoabitativo, assurge a bene pubblico immateriale, la cui natura non preclude la doppia tutela patrimoniale e non patrimoniale, relativa alla lesione di quell’insieme di beni materiali ed immateriali determinati, in cui esso si sostanzia e delimita territorialmente” (Cassazione civile, III sezione, 19.6.1996, n. 5650). Le associazioni ambientaliste, portatrici di interessi collettivi, possono far valere in giudizio i danni morali e materiali arrecati all’ambiente. Ma una rilevante novità è costituita da una importante sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che ha riconosciuto il “danno morale” a singoli cittadini: si tratta del famoso e drammatico caso della fuoriuscita di diossina dallo stabilimento Icmesa di Seveso il 10 luglio 1976. Dopo una lunghissima vicenda giudiziaria (condanna in sede penale per disastro colposo dei responsabili dell’azienda, successiva richiesta di risarcimento in sede civile da parte degli abitanti della zona), la Cassazione civile ha confermato la decisione della Corte d’Appello di Milano che ha riconosciuto la sussistenza del danno morale per i cittadini residenti nelle zone oggetto del disastro ambientale, anche in assenza di un danno biologico accertabile. Il danno morale è stato rilevato nella “sindrome di paura” degli abitanti di Seveso, che per anni hanno dovuto subire accertamenti medici, nell’incertezza delle conseguenze sulla loro salute, quindi anche con notevoli disagi psicologici. La Cassazione partendo dalla qualificazione dei reati - disastro colposo ex art. 449 c.p., qualificato come “delitto colposo di pericolo, plurioffensivo” - ha stabilito che “con l’offesa al bene pubblico immateriale edunitario dell’ambiente, di cui è titolare l’intera collettività, concorre sempre l’offesa per quei soggetti singoli i quali, per la loro relazione con un determinato habitat, patiscono un pericolo astratto alla loro sfera individuale” (Cassazione, Sezioni Unite Civili, 21.2.2002, n. 2115). Legge 6 dicembre 1991 n.394 - “Legge Quadro sulle Aree Protette” Molto spesso, come si evince anche dai dati riportati nelle tabelle allegate al dossier, attività illegittime o illegali si consumano in luoghi che, per loro natura, sono finalizzati a garantire e promuovere la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale. Parliamo dei parchi la cui disciplina è prevista dalla Legge n. 394/91 “Legge Quadro sulle Aree Protette”1. Si pensa comunemente a questi luoghi come a territori incontaminati, dove le attività poste in essere sono pensate e studiate in funzione della ricchezza dei valori di biodiversità in esse presenti. Si pensa ad attività compatibili con il territorio e con gli stili di vita che lo caratterizzano, sottoposte ad accurate analisi di valutazione degli impatti delle singole azioni sugli ecosistemi. Si pensa, come recita sempre la stessa Legge Quadro, a laboratori per l’integrazione tra uomo e ambiente naturale, per la salvaguardia dei valori antropologici, archeologici, storici e architettonici e delle attività tradizionali».

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