Si è già parlato del ruolo dei comitati olimpici nazionali. Se nel mondo esistono 206 CNO, alle Olimpiadi di Rio de Janeiro nel 2016 il CIO diede vita a una squadra speciale: la squadra olimpica dei rifugiati. Composta da dieci atleti (due nuotatori siriani, due judoka della Repubblica Democratica del Congo e sei corridori provenienti da Etiopia e Sud Sudan), ha come bandiera i cinque cerchi olimpici con sfondo bianco, proprio a voler rappresentare l'unicità di tale team.


Il tema dei rifugiati è un argomento che purtroppo è stato sempre presente nelle discussioni delle varie sessioni del CIO.


Per questo Thomas Bach, presidente del massimo organismo sovranazionale sportivo, ha deciso insieme al suo consiglio direttivo nella 133esima sessione del CIO, di far nascere questo anomalo comitato olimpico nazionale.


Se si vuole essere giuridicamente precisi, la squadra olimpica dei rifugiati non rappresenta un vero e proprio comitato olimpico nazionale, poiché non sovraintende o non rappresenta nessun territorio, ma solo determinate persone.


Il progetto ha un deciso e naturale carattere umanitario ed è per questo che il CIO ha stretto una determinante collaborazione con l’UNHCR, l’ente internazionale per la protezione dei rifugiati.


Lo stesso Alto Commissario per i Rifugiati, l'italiano Filippo Grandi ha affermato: «Nel 2016, la squadra di rifugiati a Rio ha catturato l’immaginazione delle persone in tutto il mondo e ha mostrato il lato umano della crisi globale dei rifugiati attraverso lo sport. Sono lieto che questa tradizione continui a Tokyo. Dare a questi giovani eccezionali l’opportunità di competere ai massimi livelli è ammirevole».


La squadra dei rifugiati, purtroppo, è in continua crescita visto che già nella seconda partecipazione alle Olimpiadi di Tokyo 2020 è stata formata da 29 atleti.


A Tokyo i portabandiera furono la nuotatrice Yusra Mardini e il maratoneta Tachlowini Gabriyesos.


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