La questione relativa al lavoratore sportivo è sempre stata argomento che ha visto come protagonisti la dottrina e la giurisprudenza, nel silenzio del legislatore. Si pensi che il primo caso eclatante nel quale si cominciò a parlare dell’atleta come dipendente o para-dipendente delle società sportive fu il caso della scomparsa del Torino nella tragedia di Superga. In tal caso si diede luogo, nel 1950, alla sentenza del tribunale di Torino nella quale, per la prima volta, venne affrontato il problema della natura giuridica del contratto che lega un calciatore a una società. Il giudice respinse la tesi che i giocatori fossero equiparati o assimilati a beni della società e che la causa della morte dovuta a un evento terzo non fosse causa di risarcimento da parte della società calcistica.Nell’estate del 1978, dopo un esposto del presidente AIC, (Associazione Italiana Calciatori), Sergio Campana, il 4 luglio, l’allora Pretore Costagliola emanò un decreto per il quale inibiva ai rappresentati dei club calcistici il cosiddetto calcio mercato, ovvero la compravendita e la stipulazione di contratti dei calciatori.I carabinieri fecero irruzione nei saloni dell'albergo milanese Leonardo da Vinci, allora sede delle contrattazioni, per "accertare eventuali violazioni di norme che vietano l'intervento di mediatori nello svolgimento delle pratiche comunque attinenti al trasferimento di calciatori che sono da considerare lavoratori subordinati a tutti gli effetti". Si contestava il fatto che i calciatori, presupponendo fossero dipendenti subordinati delle società, dovessero sottostare alla normativa statale sul lavoro e al collocamento, mentre risultava fossero oggetto di intermediazione privata, tramite i “procuratori sportivi”, cosa che a quel tempo la pratica era vietata con la legge n. 264 del 1949. Ci fu un vero blocco di tutto il calciomercato.Per dipanare almeno parzialmente la matassa, il governo emanò in fretta e furia il decreto-legge n. 367, convertito in legge il mese dopo. Tale decreto prevedeva che “la costituzione, lo svolgimento e l’estinzione dei rapporti tra le società e le associazioni sportive e i propri atleti e tecnici, anche se professionisti, tenuto conto delle caratteristiche di specialità e autonomia dei rapporti stessi, continuavano ad essere regolati virgola in via esclusiva, dagli statuti e dei regolamenti delle federazioni riconosciute dal CONI, alle quali gli atleti e tecnici stessi risultavano iscritti”. Questa mossa del governo portò da una parte uno sblocco del calcio mercato e del campionato di calcio, il quale iniziò regolarmente a settembre, dall’altra allo sviamento per risolvere il problema una volta per tutte.In Parlamento si presentò un disegno di legge che venne approvato il 4 marzo 1981. Il testo non fu la panacea di tutti i mali perché ancora oggi, nel 2022, le uniche federazioni a riconoscere i contratti lavoro per professionisti sono 4 su 45 federazioni sportive nazionali, 18 discipline sportive associate e 15 enti di promozione sportiva. Conti alla mano, la legge numero 91 del 1981 ha messo in condizione le federazioni di avere più potere per le contrattazioni. Questo perché come emerge dalla legge, i tre caratteri fondamentali per riconoscere un contratto del lavoro professionista sono l’onerosità della prestazione, il carattere di continuità e soprattutto “la qualificazione delle federazioni sportive nazionali con l’osservanza delle direttive stabilite dal CONI per la distinzione dell'attività dilettantistica da quella professionistica”. Si può notare che i primi due caratteri sono comuni sia agli atleti professionisti sia agli atleti dilettanti ma il carattere che differenzia le due categorie è la scelta della Federazione di istituire un settore professionistico.A oggi solo la Federazione Italiana Giuoco Calcio, la Federazione Italiana Ciclismo, la Federazione Italiana Pallacanestro e la Federazione Italiano Golf possiedono un settore professionistico (riservato solo all’alto livello e solo per il settore maschile). Nessuna di queste quattro federazioni riconosce l’attività del proprio settore femminile come professionistica, ma applica, per il gentil sesso, sempre il regime dilettantistico.Prima del 2014 anche la Federazione Motociclistica Italiana e la Federazione Pugilistica Italiana avevano un settore professionistico ma, a causa delle crisi globale che ha colpito la maggior parte delle aziende che fungevano da sponsor, hanno eliminato il suddetto settore. È lecito affermare che la legge n.91 del 1981 ha messo nero su bianco sicuramente i diritti degli atleti professionisti quali, per esempio, la previdenza sociale e l’assistenza sanitaria, ma anche che tutto il resto dell'assetto sportivo italiano sia assente da legislazione. Infatti, lo sportivo dilettante rimane una figura residuale, cioè colui che non rientra nelle specificità della legge n.91 del 1981, nonostante lo sport dilettantistico sia la maggior parte di quello praticato nel Paese.
A cura di Damiano Lestingi
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