Si fidano dei medici, dei farmacisti e dei farmaci. Anche se frequentano ‘Dr. Google’, continuano a vedere nei camici bianchi in carne e ossa i punti fermi per informarsi e chiedere aiuto. Credono alla prevenzione e sono aperti alle nuove tecnologie in sanità, o almeno ad alcune. E interrogati sulle potenzialità del progresso scientifico nella cura di un numero sempre maggiore di malattie, quasi 6 su 10 (58%) si dicono ottimisti. Più di molti altri europei (la media è del 53%). Sono gli italiani fra innovazione e tradizione, fotografati dall’Health Report 2019 ‘Il futuro della salute’, una ricerca condotta da Kantar Health per il gruppo farmaceutico tedesco Stada in 9 Paesi del Vecchio continente (Belgio, Francia, Germania, Gb, Polonia, Russia, Serbia, Spagna e Italia), per un totale di 18 mila intervistati di cui 2 mila lungo la Penisola. Per la prima volta lo studio diventa internazionale, con l’obiettivo di «anticipare i bisogni e individuare gli ambiti sui quali è opportuno stimolare informazione e dibattito e migliorare la gestione della salute, considerando anche le differenze che emergono» tra diversi Paesi ed entro i confini nazionali fra uomini e donne e tra fasce d’età, afferma Enrique Häusermann, amministratore delegato di EG Spa (farmaci equivalenti) e Crinos Spa (farmaci con marchio), società del gruppo Stada. Zoomando sull’Italia, «quello che mi interessa sottolineare - spiega l’Ad all’AdnKronos Salute - è che c’è un ottimismo sul mondo salute che non in tutti i Paesi troviamo». Un ottimismo che condividiamo con la Spagna e che Häusermann definisce «mediterraneo» o meglio ancora «latino», perché «viene molto dal tipo di cultura, dall’ambiente e da come le persone si confrontano con gli altri» e con l’idea di futuro. Un elemento che si conferma nell’ultimo rapporto, e che già era emerso nelle passate edizioni, è «lo stretto legame tra educazione sanitaria e comportamenti ‘sani’ della popolazione. Una buona ‘cultura della salute’ è necessaria per l’adozione di stili di vita corretti, per il superamento delle reticenze e l’apertura verso nuove tendenze e opzioni terapeutiche», evidenziano i promotori della ricerca, rilevando tuttavia «ancora significative aree di disinformazione». Per esempio sul fronte farmaci: se il 90% degli intervistati conosce «perfettamente» gli equivalenti (63% la media nelle 9 nazioni), solo il 12% sa cosa sono i prodotti biofarmaceutici e i biosimilari che oltre un quinto (22%) considera erroneamente «farmaci a base di piante con etichetta bio».