Fare luce sui bisogni ancora insoddisfatti e sulla necessità delle persone rare partendo dalla condivisione delle loro storie e delineare uno scenario della situazione nel nostro Paese. Sono gli obiettivi dell’incontro ‘Sobi Talk’, organizzato a pochi giorni dalla Giornata mondiale delle malattie rare del 29 febbraio, dalla multinazionale biofarmaceutica Sobi. L’evento ‘Raro ma vero. Ogni storia è un percorso di inclusione’, che si è svolto nella sede milanese dell’azienda, ha visto la partecipazione dei rappresentanti delle principali associazioni pazienti nell’ambito delle malattie ematologiche rare - Luigi Ambroso, vicepresidente della Federazione delle associazioni emofilici (FedEmo) e Barbara Lovrencic, presidente dell’Associazione italiana porpora immune trombocitopenica (Aipit Aps) - in dialogo con Chiara Biasoli, responsabile Centro delle Malattie emorragiche congenite della Romagna, Ospedale Bufalini Cesena e con l’intervento di Ilaria Ciancaleoni Bartoli, giornalista, fondatrice e direttrice di Osservatorio malattie rare (Omar).

Le malattie rare riconosciute - spiega una nota - sono oltre 6mila, con oltre 300 milioni di persone che ne sono colpite in tutto il mondo e oltre 2 milioni solo in Italia. “In questo scenario - afferma Ciancaleoni Bartoli - è fondamentale trovare un filo conduttore che aiuti a fare luce sull’insieme di esigenze e necessità diversificate di chi ha una o più malattie rare” che hanno “bisogni di assistenza a 360°, non solo medici ma anche sociali e psicologici. Oggi, fortunatamente, molte persone hanno la possibilità di gestire e, di fatto, ‘convivere’ con la malattia lungo il corso di vita. La cronicità è un fattore importante, che crea bisogni di assistenza nuovi ”.

Sulla trombocitopenia immune (o Itp), ad esempio, “è una malattia ematologica poco conosciuta ma che porta con sé sintomi importanti - osserva Lovrencic - L’astenia o fatigue e l’imprevedibilità del decoroso della patologia hanno un forte impatto sulla qualità di vita delle persone, inclusa la sfera sociale. Sensibilizzare le persone su questa patologia è solo un primo passo per individuare insieme percorsi di inclusione concreti” per “il raggiungimento di obiettivi personali, dando il proprio contributo nella società”.