Don Ivan Leto*

Oggi è la festa di Dio, la celebrazione del mistero della Santissima Trinità. Siamo alla fine ed è un grande inizio. Chiude il Vangelo di Matteo con una scena intima e commovente. L'ultimo saluto del Signore, il dubbio dei discepoli, la forza delle promesse, il coraggio del mandato universale, il sigillo del Dio unico e trinitario, la consolazione che Gesù sale, ma resta fino all'ultimo giorno insieme a noi perché lui è l'Emanuele.

Colpisce il persistere del dubbio dei discepoli, nonostante abbiano il Risorto dinanzi agli occhi. Forse il dubbio era per le parole delle donne; infatti poi ci sono andati in Galilea – dove tutto ha preso inizio – e Gesù li ricompensa con la promessa di restare "fino alla fine del mondo", ben oltre la loro stessa vita. E' lo Spirito che li rassicura. Ancor più la presenza del Signore, così come è la sua assenza a far paura, a smarrire. Gesù ha "ogni potere in cielo e sulla terra". Quale potere? Lui è il maestro che edifica, che si muove verso tutti i popoli per farne discepoli. Un potere trasmesso ai discepoli, che, però, restano tali. Gesù, porta di accesso al mistero del Dio cristiano, al termine della sua vicenda terrena, convoca i suoi sul monte dinanzi al mondo e li manda perché tutti gli uomini conoscano e vivano di questo Dio. Gesù ha compiuto la sua opera di rivelazione, ma non termina la sua presenza; anzi, proprio lo speciale rapporto che il risorto ha con ogni uomo è la motivazione dell'universalità della missione della Chiesa. Il Vangelo del Dio cristiano deve essere annunciato ad ogni uomo, perché Gesù è la verità dell'uomo.

La nostra vita inizia nel segno della Trinità (battesimo). Tutta la nostra vita è nel segno della croce e nel nome di Dio-Trinità.

Siamo alla fine del Vangelo di Matteo, in Galilea, dove tutto è cominciato, dalle prime parole di Gesù alle prime chiamate dei discepoli. Essi vedono Gesù come Egli è e lo adorano prostrandosi innanzi, come atto supremo di comunione, d'amore e di abbandono totale. Il mistero abissale e ineffabile di Dio – dei Tre che sono Uno! – non solo si è svelato e reso vicino nella persona e nella vita di Gesù, ma proprio per questo ci dice che anche la vita degli uomini è modellata sulla vita di Dio. Gli apostoli non hanno usato il termine Trinità. Il bisogno di avere una sola parola per dire la fede nelle tre Persone è venuto con la nascita di alcune eresie. Gli apostoli però sapevano comunicare la fede nel Padre che Gesù ha fatto conoscere col suo amore fino a dare la propria vita e che noi possiamo chiamare Abbà, la fede nello Spirito che Gesù ha ricevuto dal Padre al Giordano e riconsegnato sulla croce, la fede in Gesù, Figlio di Dio, datore di vita e di salvezza col perdono dei peccati. Il Vangelo di Matteo termina con un apostolo in meno. Sono undici, non più dodici, i discepoli convocati sul monte per l'invio missionario sino ai confini della terra. La ferita nel collegio apostolico dice sempre la sproporzione tra la santità del compito e la povertà del mezzo; è la storia di ciascuno di noi. Da notare l'accostamento: i discepoli si prostrano davanti a Gesù, ma dubitano; hanno fede e conservano il dubbio, la fatica di credere. Forse per questo Gesù non solo si fa vedere, ma si avvicina, riduce ulteriormente la distanza e moltiplica l'incoraggiamento, basandosi sulla sua potenza: a me è stato dato ogni potere in cielo e in terra! Andate, dunque! La grande missione di far discepoli tutti i popoli, figli dell'unico Dio che è Padre, Figlio e Spirito Santo, è attuale anche oggi.

*Don Ivan Leto

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