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I fantasmi dell’insostenibilità del sistema pensionistico iniziano fin da ora a dare i propri segnali. La provincia di Viterbo è nella fascia rossa in cui il numero totale di occupati è inferiore a quello delle pensioni erogate: 126 mila unità le pensioni contro 115 mila occupati con un gap negativo di 11 mila unità (dati 2022). La Cgia di Mestre ha analizzato numeri, cause ed effetti di una situazione molto rischiosa in cui, se non si interverrà rapidamente, potrebbe diventare sempre meno sostenibile la solvibilità delle pensioni di domani. La Tuscia è nell’area delle province in cui il gap negativo tra fruitori di assegni pensionistici e mondo produttivo è già una realtà insieme ad altre 56 province: praticamente già nella metà delle province italiane il trend negativo è presente. Tra le cause che sono alla base di questa situazione la Cgia di Mestre ne individua tre principali che riguardano direttamente anche il Viterbese: il calo demografico, l’invecchiamento della popolazione e l’alto livello di lavoratori irregolari. Questi fattori portano ad essere sempre minori le persone produttive nella fascia 15-64 anni e, i lavoratori in nero (circa 3 milioni in Italia) rappresentano il sommerso in cui l’assenza di contribuzione incide direttamente sugli squilibri tra redditi e pensioni globali. Altri fattori che portano numeri negativi sono il basso tasso di occupazione femminile in Italia (circa il 50%) che, nella Tuscia, assume aspetti drammatici: nel 2022 il tasso di occupazione femminile è stato appena del 34,1% contro il 52,4% di quello maschile, con la media dell’occupazione nel Viterbese del 43,1%. Per la precisione nel 2022 sono stati 68 mila uomini e 46 mila donne gli occupati locali. Sono altrettanto fuori dalla media nazionale i tassi di invecchiamento della popolazione e quelli di natalità della Tuscia che, combinati con i bassi indici di occupazione, rendono negativo il rapporto pensioni/occupati. Per la Cgia di Mestre, per incidere sul trend negativo, servono, tra le altre, anche misure che permettano di allungare la vita delle persone (aumentando la permanenza ed il numero di lavoratori) ed elevare il livello d’istruzione (che permette a regime lavori più remunerati ed incentiva indirettamente, quindi, l’occupazione). Tra i settori che saranno più colpiti dall’invecchiamento della popolazione e dal basso livello occupazionale, per la Cgia, ci sono quello immobiliare, dei trasporti, della moda e del ricettivo-accoglienza. Nel Lazio è Roma la provincia con i dati nettamente migliori: per 1 milione e 443 mila pensionati ci sono stati, nel 2022, 1 milione e 769 mila occupati con saldo positivo di 326 mila unità. Ad enorme distanza da Roma, in territorio positivo, c’è la provincia di Latina con 205 mila pensioni a fronte di 210 mila lavoratori (+5 mila unità); segue la provincia di Frosinone con un livello pressoché nullo (171 mila pensioni e 172 mila occupati censiti). Negative sono le province di Rieti con un gap negativo di 10 mila unità (65 mila pensioni contro 56 mila occupati) e Viterbo. Le prime dieci province con rapporto positivo tra occupati e pensionati sono Milano (+342 mila unità); Roma (+326 mila); Brescia (+107 mila); Bergamo (+90 mila); Bolzano (+87 mila); Verona (+86 mila); Firenze (+77 mila); Monza e Brianza (+75 mila); Padova (+74 mila) e Vicenza (+67 mila). Anche in questa statistica si conferma il divario Nord-Sud con tutte città del Meridione nelle ultime posizioni: Sud Sardegna (-34 mila unità); Foggia (-37 mila): Catania (-42 mila); Taranto (-57 mila); Coenza (-73 mila); Palermo (-74 mila); Reggio Calabria (-85 mila); Messina (-87 mila); Napoli (-92 mila) e Lecce (-97 mila).