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DON IVAN LETO*
Gesù, dopo i segni dei miracoli, inizia a svelarsi, a mostrarsi per quello che Egli è. Iniziando a Cesarea di Filippo col dialogo con Pietro e gli altri: chi dite che io sia? Pietro ci prova a rispondere: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente. Ma non basta. Occorre spiegare quello è contenuto nella risposta – ispirata – di Pietro. Questa spiegazione, la fa Gesù, con le tre predizioni della sua passione di sofferenza, morte e resurrezione. La morte fa da sfondo; senza di essa non si può parlare seriamente di Gesù. Ma prevale la gloria, la luce. A Cesarea di Filippo, in zona pagana, il luogo più lontano da Gerusalemme, Gesù chiede ai discepoli: "chi sono io per voi?". Non è una crisi di identità, ma la strada per portare i discepoli dentro il suo mistero. La risposta, in realtà, dice chi è il discepolo. Pietro e gli altri riconoscono Gesù come il Cristo, il Figlio di Dio. Quella di Pietro è la professione di fede cristiana: Gesù è il centro e il culmine della rivelazione di Dio perché è il Figlio. E Pietro diviene "pietra", un attributo di Dio stesso. La Chiesa si costruisce su questa pietra. Da oggi chi "vuol venire dietro a me" deve rinnegare se stesso. L'esistenza cristiana è quotidiana morte e risurrezione. Nella vita di fede tutto si capovolge; quello che era da "salvare" si cambia in quello che è considerato "perdita" Se la potenza del mondo è il potere di dare la morte, la potenza della vita nuova è il dono di sé, il dono della vita. "Vai dietro a me!" è il comando di Gesù a Pietro che si opponeva alla logica della croce. Andare dietro a Gesù significa essere suoi discepoli, mettere i piedi nelle sue orme, fare la stessa strada. Cosa pensavano di Gesù i suoi contemporanei? C'erano quelli attratti dalle guarigioni miracolose che avevano costatato; per i parenti, invece, Gesù è un esaltato; per gli scribi, infine, è un falso profeta indemoniato. La prima interpretazione è inadeguata; le altre due sono assurde. E i nostri contemporanei cosa pensano di Gesù? Danno una quarta interpretazione: Gesù sarebbe stato un maestro e un modello sublime di umanità: ha insegnato la fiducia in Dio e l'amore fraterno verso tutti, perfino verso i nemici. Un uomo grande, straordinario; ma soltanto un uomo. Tra le quattro interpretazioni questa, che a prima vista appare rispettosa, in realtà è la meno fondata e attendibile. L'unica interpretazione accettabile è quella data da Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». Gesù è il Figlio di Dio, vero Dio e vero uomo, unico salvatore di tutti gli uomini. Questa è la fede degli apostoli, la fede per cui hanno dato la vita i martiri. La croce è scandalo per tutti perché l'amore è passione. Solo quando si scopre che il carpentiere di Nazareth è il Cristo, il Figlio di Dio, si comprende che è il mistero del Messia sofferente a svelare l'enigma ripugnante della sofferenza umana. Se Gesù ci chiede di portare la nostra croce è perché lui per primo porterà la croce. Offre la sua vita per darcela. Entra nella nostra morte per liberarcene. Non si rassegna alla fatalità, anzi la rovescia. La croce è precisamente la negazione di ogni fatalità nella condizione umana e l'affermazione assoluta dell'onnipotenza liberatrice di Dio. Nella croce si crocifigge il destino implacabile dell'uomo e risorge la sua libertà perché finalmente unito alla condizione di Gesù. Aver fede in Gesù non significa pensare di essere risparmiati "dalla morte", ma che egli ci salva "nella" morte; non elimina il limite che è nella nostra natura, ma ci dà la possibilità di scoprire che quel limite non ci annulla del tutto, non ci annega. E poi c'è modo e modo di vivere e di morire. I cristiani sanno che si può vivere l'amore fino a dare la vita. Se tutti gli uomini conoscono una vita che è per-la-morte, chi crede in Gesù sperimenta una morte che è per la vita.
*Don Ivan Leto,
parroco di Sant'Antonio Abate
Torrimpietra-Fiumicino