di FABRIZIO BARBARANELLI



Il Sindaco Cozzolino ha risposto con una lunga nota ad una mia riflessione. Lo ringrazio anche perché questa volta ha evitato di personalizzare, contraddicendo un costume oggi consolidato.  Poteva evitare qualche apprezzamento inutile ma sarebbe stato chiedere troppo. Va bene così, non sottilizziamo. Discutere potrebbe fare bene se si creassero le condizioni, soprattutto a chi gestisce la cosa pubblica.  Solo che nel suo lungo intervento non ho trovato nessuna risposta alle questioni da me poste. Nessuna. Egli ha utilizzato le mie osservazioni per seguire un suo percorso, come dire: me la canto e me la suono, l’interlocutore è solo un pretesto.



Ciò che mi colpisce è la totale assenza di riflessione autocritica, i toni sono sempre apologetici e le colpe sono sempre nel passato: questo il leitmotiv mai messo in discussione. E’ un pre-giudizio, un assioma.



Tuttavia voglio seguirlo sul suo terreno, abbandonando la mia pretesa originaria di discutere delle questioni da me poste. 



Mi chiedi se puoi darmi del tu e rispondo senza alcuna esitazione di si, avendo anche vissuto un’epoca in cui i cittadini al sindaco davano del tu e lo chiamavano per nome e soprattutto lo rispettavano e ci si identificavano. Sono quei sindaci che io difendo dalle tue ingenerose affermazioni. Non i sindaci in generale, non la “categoria”, la “casta” come la definisci.



C’è qualche sindaco di cui non vorrei neppure sentire pronunciare il nome, per ragioni politiche e talvolta anche personali e che non solo non difendo, ma che giudico con assoluta severità.



Ma non mi sfugge che nel corso degli anni si sono confrontate diversità di visioni per lo sviluppo della città e che ci sono stati amministratori che hanno perseguito modelli alternativi alla monocultura energetica ed altri che hanno al contrario rigenerato le centrali prolungandone la vita. Così per l’alternativa industrializzazione o sviluppo turistico, sempre presente nel dibattito cittadino. Diverse ipotesi, diverse priorità che si sono dovute incontrare e scontrare con le compatibilità nazionali, con le tante urgenze, con gli investimenti “esterni”, con la nostra marginalità.



A te sfugge questa dialettica, che è la dialettica della società di cui i partiti e le persone sono parte, subendone le influenze e i condizionamenti.



Tu segni una linea di demarcazione tra la tua gestione e “le altre”, senza sapere che già prima di te altri sindaci si sono espressi negli stessi termini, sostenendo che da loro si ripartiva per una rinascita che non è mai arrivata.



Non solo: ciò che non ti è chiaro è che quando finirà il tuo mandato, la linea di demarcazione sarà da altri spostata in avanti fino a ricomprendere te tra i sindaci da giudicare con severità.



Perché vedi, ciò che dopo due anni avresti dovuto comprendere è che tra le intenzioni e la realtà il passo non è breve. Che ci sono mille e mille ostacoli all’azione di governo, in primis i problemi finanziari, che tutti hanno avuto, senza tuttavia cercare in essi l’alibi alla inconcludenza.



Chi dice di non avere bacchette magiche non può pretendere che altri le abbiamo dovute o potute avere.



Il giudizio non può che essere sulle responsabilità delle singole amministrazioni in rapporto alle scelte compiute e alla situazione che hanno vissuto.



La prima centrale, quella di Fiumaretta, fu salutata dalla popolazione come un grande evento che doveva segnare l’avvio di una fase di sviluppo per la città ed oggi la giudichiamo come l’inizio dei nostri guai. E’ soltanto un eloquente esempio di come sia facile essere giudici della storia con gli occhi del presente.



Ci sono stati e ci saranno amministratori capaci ed incapaci, onesti e disonesti, come sempre e come ovunque. Ma le responsabilità sono personali e debbono essere motivate. Sparare nel mucchio è una operazione maramaldesca.



Dopo due anni ci guardiamo intorno e sentiamo che nessuna delle aspettative sulle quali hai chiesto il voto si è realizzata e due anni non sono pochi. Se la colpa politica dovesse diventare colpa giudiziaria – come tu sembri auspicare ipotizzando implicitamente un governo dei magistrati che persino Montesquieu nel XVIII secolo vedeva con orrore – la tua pena oggi sarebbe il carcere a vita (passami il paradosso).



Chiedere giustificazioni per sé e negarle agli altri è il segno della malattia più grave di questa amministrazione: l’autoreferenzialità e la assoluta incomprensione per i processi e la dialettica della società e della politica.