L’adenocarcinoma della prostata è la più comune neoplasia maligna degli uomini sopra i 50 anni di età ed ha un’altissima incidenza nel continente nord americano, dove è diventato il primo tumore. Nella maggior parte dei casi avere problemi alla prostata non significa automaticamente avere maggiori probabilità di ammalarsi di tumore alla prostata. “ E’ molto importante controllare la zona periferica della ghiandola – dichiara il dott. Gino Vegro – Se è presente una sospetta lesione ghiandolare, supportata da un PSA elevato, allora dobbiamo procedere con una biopsia prostatica. Anche un’ecografia trans rettale ci permette di vedere non solo tutta la ghiandola, di valutarne il volume e la struttura, ma di verificare la presenza di un carcinoma prostatico. Anche nel caso in cui il PSA è aumentato e c’è un’ecografia che lascia dei dubbi, o c’è un tatto rettale che è positivo ad un nodulo, bisogna procedere con la biopsia. Nel caso in cui in un paziente sia presente un PSA alto, una biopsia negativa, ed una lesione documentata, il nuovo sistema del dosaggio del PCA3 (Prostate CAncer gene 3), un esame basato sui geni, facilita la decisione del medico sull’opportunità o meno di consigliare l’esecuzione di una biopsia prostatica. A seguito di un’esplorazione rettale, si fa urinare il paziente e si ricerca questo gene nelle urine. Il PCA3, contrariamente al PSA, è specifico per il cancro della prostata. Questo significa che è prodotto unicamente dalle cellule di tumore prostatico e non è influenzato dalle dimensioni della prostata.
Sono molte le terapie possibili, a mio avviso – continua il dott. Vegro- , la migliore è quella chirurgica, ovvero, la rimozione completa della prostata o con metodo classico, per via addominale, o per via laparoscopica. Attualmente la chirurgia robotica ci supporta nell’asportazione completa e radicale della prostata, preservando i nervi dell’erezione, assicurando una certa validità nella funzione sessuale del paziente operati per carcinoma prostatico. Un’alternativa può essere la radioterapia, che riserviamo ai pazienti in età avanzata o che non possono essere sottoposti a chirurgia radicale classica. La terapia ormonale può servire nelle prime fasi, il blocco ormogetico totale mediante l’uso di farmaci, non da una garanzia che possa a lungo periodo far regredire il tumore” .