Colpo di scena sul deposito nazionale di scorie nucleari. E una doccia fredda per la Tuscia che, con 21 aree idonee sul totale di 51 a livello nazionale, è il territorio che rischia maggiormente.

Trino Vercellese, unico Comune ad avere espresso la volontà di ospitare l’impianto e l’annesso parco tecnologico, fa un passo indietro e ritira l’autocandidatura. Alcuni passaggi della delibera, approvata dalla giunta trinese martedì scorso, lasciano spazio a interpretazioni che farebbero sottintendere come l’amministrazione comunale, pur non convinta, si sia piegata alla volontà di poteri più forti. Almeno stando alle parole del sindaco Daniele Pane che ha dichiarato: «La procedura di autocandidatura coinvolge anche enti a noi sovraordinati, che ci hanno chiesto di ritirarla, così abbiamo fatto».

Gli enti in questione, contrari al sito, sono diversi Comuni della provincia di Vercelli e di Alessandria, i presidenti delle due Province e il presidente della Regione Piemonte Alberto Cirio, oltre ad alcune associazioni ambientaliste locali e nazionali, tra cui Legambiente.

L’amministrazione di Trino Vercellese aveva avanzato la propria candidatura per il deposito unico in quanto consapevole della necessità di mettere in sicurezza gli impianti temporanei di stoccaggio di rifiuti radioattivi situati nei siti ex nucleari di Trino e di Saluggia, distanti pochi chilometri tra loro.

E il “fastidio” dell’amministrazione trinese emerge in maniera evidente nelle “esortazioni” contenute nella delibera.

In un punto infatti il Comune richiede alla Regione Piemonte, alla Provincia di Vercelli e ai Comuni “che si sono opposti, di farsi parte attiva immediatamente per l’allontanamento istantaneo di tutto il materiale catalogato come rifiuto radioattivo attualmente stoccato presso i siti di Trino e di Saluggia”.

In un altro richiede “al Governo e più nello specifico al ministero dell’Ambiente (di cui è titolare il piemontese Gilberto Pichetto Fratin ndr.), al Parlamento e a tutti i deputati piemontesi, alle associazioni ambientaliste e a Sogin di farsi promotrici di azioni concrete e rapide verso i 51 siti individuati al fine di realizzare quanto prima il deposito unico nazionale”.

Il passo indietro di Trino è un brutto colpo per il Viterbese, che aveva intravisto nell’autocandidatura una possibile speranza per riuscire a scongiurare il rischio della realizzazione del deposito e del parco tecnologico sul territorio.

Tra l’altro il Lazio è la regione italiana che detiene la quantità maggiore di rifiuti radioattivi con il 30,78% del totale nazionale pari a 9.591 metri cubi, secondo i dati riferiti al 2022 forniti dall’Isin, l’Ispettorato nazionale per la Sicurezza nucleare e la radioprotezione. Segue la Lombardia con il 20,74%, il Piemonte con una percentuale del 19,01, la Basilicata con il 12,38%, la Campania (8,01%), Emilia Romagna (3,74%) e Toscana (3,33%). La percentuale minore, sul totale, è il 2,01 della Puglia. Per quanto riguarda le sorti della Tuscia occorre tenere le dita incrociate fino al 24 aprile, quando si terrà l’udienza al Tar sul ricorso presentato dalla Provincia di Viterbo, dai Comuni, da comitati e associazioni ambientaliste.