ALLUMIERE - «Dicembre, che dei riti agrari non conserva nulla, è diventato il mese delle festa dell’Immacolata, il mese delle novene e il mese del Natale".

Ad esprimersi così l'ex assessore di Allumiere, Gabriele Volpi, il quale ricorda l'antica tradizione di uccidere e macellare il maiale per la festa dell'Immacolata per poi conservare carne e salumi per l'inverno.

"Dopo le nebbie novembrine cominciava il primo freddo, nei primi quindici giorni, dopo il primo quarto di luna, si ammazzava il maiale e tutto procedeva come un rito, ed era festa grande perché il maiale delle nostre campagne, allevato contro la fame e la carestia, era l’animale più utile all’economia agraria - spiega ancora Volpi - nel giorno fissato, l'8 dicembre, meglio se faceva freddo con vento secco di tramontana, le donne, si alzavano alle quattro del mattino e riempivano le pentolone di acqua messa a bollire sopra un fuoco. Verso le sette, quando l’acqua già bolliva, arrivava il norcino per la macellazione. Fatto uscire dalla stalla, attirandolo con una manciata di grano, quattro o cinque uomini robusti sistemando un laccio di corda a una zampa e afferrandolo per la coda atterravano il maiale . L’uccisione del "porco" era avvolta da una atmosfera di sacralità, ereditata probabilmente da radici molto profonde della nostra storia. Il norcino o il proprietario del maiale con attenzione, per non rovinare il lardo e la carne, cominciava a versare l’acqua bollente sulla cotica e dava il via al raschiamento delle setole quando queste cominciavano a staccarsi. Venivano anche usati fogli di carta straccia o piccoli fasci di paglia, oggi sostituiti dal cannello a gas, per bruciare i peli residui della cotenna mentre, contemporaneamente, si procedeva alla eliminazione delle unghie. Il maiale subito dopo era trasportato di peso in casa, con le zampe all’aria, veniva issato e sospeso attraverso una rudimentale carrucola ad una trave resistente per poterlo meglio squartare e il corpo veniva aperto in due parti per poterlo raffreddare una notte intera. Il giorno dopo veniva ridotto sistematicamente in tante parti: il lardo che era molto importante, più era spesso e meglio era, i prosciutti, le spalle e la ventresca. Ricordo che tutti noi bambini aspettavamo il pallone per giocare, era la vescica del maiale che si gonfiava con la cannuccia.

La sera a cena si mangiava la "padellata" o "padellaccia", poi si faceva bisboccia bevendo fino a tardi. La mattina dopo, molto presto, veniva macinata la carne del porco per fare le salsicce, le mazzafediche e poi si mettevano a bollire le orecchie e la testa per fare la coppa. Un piatto gradito della macellazione, era il fegato di maiale, tagliato a fettine e avvolto nella “ratta”, ossia nella membrana che ricopre le viscere dell’animale che, cotto in padella con pochissimo olio, forma un soffritto appropriato. Qualcuno vi aggiunge in giusta misura, della cipolla e una foglia di alloro, mentre sale e pepe devono essere usati a fine cottura per evitare che il fegato diventi duro. Era un piatto ancora in uso nel dopoguerra e che oggi sembra scomparso, perché al fegato di maiale viene preferito quello di vitello che è più leggero. Del porco non si buttava niente".

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