CIVITAVECCHIA – «Si sta svolgendo, presso l'Istituto Comprensivo Don Milani, il progetto “E tu di che genere sei?”, presentato qualche tempo fa presso la sala consiliare del Comune: il progetto – secondo i relatori ed i comunicati stampa - consiste in un lungo programma di attività formative per personale docente, famiglie e studenti, “finalizzato alla decostruzione degli stereotipi di genere e sulla costruzione dell’identità di genere”. Un titolo - “E tu di che genere sei ?” - che racchiude i fondamenti della teoria (o ideologia) del gender, secondo la quale l’identificarsi come uomini o donne (ovvero l’autopercezione del proprio “genere”) non dipende in alcun modo dal sesso di nascita e dai caratteri biologici ( che determinano un corpo femminile o un corpo maschile), ma dipende da fattori culturali imposti dalla società, dalla famiglia, dalla scuola. Si nasce maschi o femmine per questioni genetiche, ma, secondo questa teoria, si diventerebbe uomini o donne in base a fattori esclusivamente culturali. Secondo i suoi teorici, il gender è performativo e le differenze uomo-donna sono soltanto oppressioni normative, stereotipi culturali e costruzioni sociali che bisogna decostruire per raggiungere la parità tra il genere maschile e quello femminile : questa teoria ha come obiettivo, pertanto, la liberazione di donne e uomini dalle” repressioni” e dalla “dicotomia dominante, affermando invece la libertà di vivere dentro altri o nessun genere”.

Gli studi sul genere riconoscono un ruolo marginale ai due sessi, in quanto maschi e femmine, secondo costoro, si può anche diventarlo a seconda della propria sensibilità, aprendo ad un “multiverso”, ed ad una catalogazione del genere umano, frazionata e frammentata in decine di generi ed orientamenti : così le persone “cisgender” sarebbero quelle “binarie”, attratte dall'altro sesso, ma accanto ad esse ci sarebbe uno spettro, un ventaglio pressocchè infinito: gli allosessuali, gli asessuali, i bisessuali, i transgender, i trans, i transessuali, gli intersex, gli androgini, gli agender, i crossdresser, i drag king, i drag queen, i genderfluid, i genderqueer, gli intergender, i neutrois, i pansessuali, i pan gender, i third gender, i third sex, le sistergirl e i brotherboy e chi più ne ha più ne metta.

Vediamo come, in effetti, questa ideologia azzera la biologia, la psicologia, l’anatomia, la genetica e le altre scienze, dando prevalenza al “sentire” soggettivo: posso insomma percepirmi queer, o gender fluid, bisessuale, poliamoroso. Anzi, si pretende che lo Stato assecondi le mie pulsioni. Si legittima come normale una "dimensione fluida, flessibile, nomade” di sessualità. Senza nulla di stabile, neppure, ad esempio, i ruoli di padre e madre nella famiglia. Chi sostiene che non esista una vera differenza tra uomini e donne, crede che il corpo è sì sessuato, ma questo non è determinante. Ciò che conta, secondo questa teoria, è come la persona si sente. E la differenza maschile/femminile sarebbe una differenza esclusivamente culturale, cioè gli uomini e le donne sono tali perché da bambini sono stati educati così. Ora, se è vero che ogni adulto può giocarsi come crede, anche alla luce di queste teorizzazioni, la propria vita, anche aderendo ad un “genere” di quelli sopra riportati, (indipendentemente dal sesso biologico assegnato alla nascita da madre natura), è anche vero che, quando si coinvolgono alunni di quinta elementare o di prima media, o anche ragazzi preadolescenti o adolescenti che faticosamente stanno formando la propria identità sessuale, occorre porre molta attenzione.

Noi siamo certi che gli istituti che approvano progetti gender siano mossi da nobili intenti e che l'obiettivo, anche quando sono coinvolti dei minori, sia quello di rendere i bambini e le bambine, come anche i ragazzi e le ragazze, consapevoli del loro valore al di là del loro sesso, attraverso incontri in grado di conferir loro una capacità critica per orientarsi al meglio nella vita, negli studi, nei giochi e nelle letture senza forzature.

Crediamo tuttavia che occorra estrema delicatezza ed attenzione da parte di docenti, genitori ed educatori in quanto questi progetti – sovente presentati richiamando ideali e principi validi quali uguaglianza, parità, equità, emancipazione e promozione della donna, lotta al bullismo ed alla violenza - a volte veicolano contenuti che mirano, più che a costruire e formare i ragazzi nel faticoso cammino verso la scoperta della propria identità sessuale, a decostruire, togliere e cancellare dalle menti degli alunni delle convinzioni, delle certezze acquisite magari con fatica in famiglia e in società, convinzioni che sono necessarie nel percorso per orientarsi ed affermare la propria identità e maturità sessuale.

Gli stereotipi, infatti, non sono tutti negativi: possono anche essere utili, in quanto aiutano a semplificare e sintetizzare la complessità della realtà, evitandoci ad esempio di dover affrontare ogni situazione ripetitiva sempre come se fosse la prima volta che la viviamo. Gli stereotipi di genere, poi, sarebbero poi una particolare categoria – secondo questi studi - prodotta della “socializzazione binaria”, che è implicitamente distinta per maschi e femmine, e consisterebbe in una distorsione cognitiva che prevede il primato sociale dell’uomo sulla donna.

Premesso dunque che alcuni stereotipi positivi sono necessari ai ragazzi per orientarsi nel mondo - attraverso costruzioni sintetiche della realtà che li circonda - ci chiediamo, per quanto riguarda i bambini, se veramente si pensa che i vestiti rosa per le femminucce e azzurri per i maschietti, macchinette e costruzioni per i bambini e bambole per le bambine, giochi vigorosi per i maschi e attività di cura e assistenza per le bimbe, siano pericolosi stereotipi da estirpare, se veramente si pensa che pongono limiti alla formazione della propria identità personale. Questi progetti, da come sono stati presentati, hanno dunque come obiettivo primario quello di far tabula rasa dei cosiddetti stereotipi, per poi passare ad una fase successiva che è stata descritta come “costruzione del genere”: ogni bambino, liberato da pregiudizi e stereotipi acquisiti magari in famiglia o in altri ambiti sociali, sarà finalmente libero di scoprire il suo vero genere: “E tu di che genere sei?”. Eccoci giunti all'obiettivo. Si insinua dunque un dubbio nelle mente dei ragazzi, togliendo loro delle certezze. Sarebbe interessante capire se e con quali modalità gli operatori del progetto passino alla “costruzione dell'identità di genere” dei bambini, quella che afferma - ricordiamolo - che uomini e donne non si nasce, ma si diventa, indipendentemente dal sesso di nascita. Queste argomentazioni non sono riferite ad una scuola in particolare, ma in generale agli obiettivi di coloro che propugnano questo nuovo umanesimo. Vediamo dunque che la teoria del gender prevede una de-programmazione, una liberazione delle menti dei giovani da quelle che sarebbero le imposizioni e sovrastrutture culturali della famiglia, della società, dei gruppi sociali.

Ma in realtà, secondo l'autorevole pensiero di molti studiosi, l’essere uomini o donne, è una dimensione costitutiva della persona, è un suo modo di essere, di manifestarsi, di comunicare con gli altri, di sentire, di esprimere e di vivere. Ritenere che la corporeità abbia soltanto un peso relativo nella realizzazione piena della persona, fino ad affermare una sorta di neutralità sessuale dell’individuo, ci fa cadere in una visione dualistica e riduttivistica del corpo e della persona. “La differenza sessuale è originaria e – sebbene l’ambiente educativo abbia un peso – precede l’educazione stessa e gli influssi culturali e genitoriali. Basta studiare lo sviluppo neurofisiologico del bambino per rendersi conto che le attitudini genere-specifiche sono innate e non derivano da imposizioni o dal tentativo di corrispondere ad un genere “pre-impostato”. Si ricordi il flop dei vari esperimenti delle “Gender theories” di dare il camion alle bambine e le bambole ai bambini. Risultato? Le bambine giocavano con i camion a “mamma-camion” che cambia il pannolino a “babycamion” e i maschi usavano le bambole come piccole clave contro i compagni. Chiunque ha figli o lavora con i bambini sa che il bambino si comporta “da maschio” o “da femmina” prima ancora di riconoscersi in un genere. E questo è dovuto a delle differenze a livello biologico innate che segnano una strada preferenziale nello sviluppo. Resettare queste differenze e considerare il bambino una specie di “tabula rasa” nei riguardi della propria identità sessuata, non può che andare a discapito dell’armonico sviluppo del bambino”. La visione gender sottende un ideale che potremmo dire utopico: immagina un mondo nuovo formato da individui senza classi di sesso, misconoscendo l'imprinting genetico e la conformazione sessuata, per cui le differenze devono essere sacrificate all'uniformità culturale. Ma una visione corretta della persona umana non può prescindere dalle differenze. Siamo pertanto quanto meno perplessi che nelle scuole, ancor oggi, vengano proposti dei progetti che hanno un carattere spiccatamente ideologico, strettamente collegati ad una teoria tutta da dimostrare.

Rammentiamo infine che l'ideologia del gender è nata negli Usa con il tristissimo caso dei gemelli maschi Brian e Bruce Reimer*. Bruce, a 22 mesi fu sottoposto ad un esperimento di transizione di genere voluto dal dott. John Money, e gli fu imposto il nome di Brenda. Bruce si suicidò a 38 anni. Il dott. Money, fu, negli anni '50, uno degli iniziatori ed “inventori” del gender, riuscì a far crescere Bruce come una femmina – chiamandolo Brenda – “provando”, a suo parere, che “il concetto di genere come costrutto socioculturale esiste ed è da considerarsi come differente dal sesso biologico”.

Il totale fallimento del dott. Money e delle sue teorie, conclusesi con il suicidio di entrambi i gemelli Reimer, dovrebbe indurre a riflettere sull'opportunità di dare ulteriore spazio a studi ed idee che possono essere validi a livello di ricerca e studio, ma non imposti a studenti e bambini. Per chiarire queste importanti e delicate tematiche che investono la formazione identitaria di bambini e giovani, il Movimento per la Vita organizzerà a Civitavecchia, presumibilmente nel mese di maggio, una apposita conferenza».

Movimento per la vita