CIVITAVECCHIA – Civitavecchia “da parte mia, se ne fossi il padrone, la chiamerei Processionopolis”. Così scherzava padre Jean Baptiste Labat dell’Ordine dei Frati Predicatori nelle sue memorie in riferimento alle numerose processioni che salmodiando attraversavano le poche e strette vie della piccola città portuale (F. Correnti e G. Insolera, I viaggi del padre Labat dalle Antille a Civitavecchia, 1995).

In quelle pagine, che ci restituiscono in pieno la vita quotidiana di Civitavecchia nel Settecento, Labat descrive magnificamente la processione del Cristo morto, appuntamento pasquale molto caro alla Comunità civitavecchiese di cui erano protagoniste le tre confraternite cittadine: quella Nera dell’Orazione e Morte, quella Bianca del Gonfalone e quella azzurra non più esistente del Santissimo Nome di Dio.

Il frate domenicano, se fosse vissuto quasi due secoli dopo, sarebbe rimasto interdetto ad apprendere che a Civitavecchia per trenta anni la processione del Venerdì Santo fu vietata, ufficialmente, per questioni di ordine pubblico ma realmente per il pesante clima anticlericale che si respirava in città come nel resto del Regno d’Italia a partire dal 1870 quando la Breccia di Porta Pia aveva messo termine al potere temporale del Papato.

Il 1 aprile 1901 Il Messaggero pubblica un articolo intitolato Le processioni religiose in provincia in cui si dà notizia che “da vari paesi della provincia ci pervengono vibrate lettere di protesta contro il progettato ripristinamento della processione del venerdì Santo”. Gli autori di queste lettere si lamentavano che “si lascia ai clericali la libertà di compiere pubblicamente delle funzioni religiose” che per loro erano una “manifestazione politica”.

In quei tempi molti funerali erano celebrati con rito laico, e noti esponenti della locale Massoneria svolgevano il ruolo di oratori a queste meste cerimonie. A Civitavecchia erano frequenti anche i battesimi laici dei figli degli anarchici, dei repubblicani e dei socialisti. Enrico Padelli, mio prozio, ricorda nelle sue memorie che il padre lo battezzò con i suoi compagni di lavoro nelle acque del porto. Le loro mogli e madri, anche in segreto, provvedevano al battesimo religioso.

L’opposizione alle manifestazioni religiose in pubblico era fortissima: “A Civitavecchia poi l’esasperazione dei liberali è maggiore, perché la processione vi è abolita da quarant’anni, e perché da qualche tempo i clericali anche troppo tollerati, non tralasciano alcuna occasione per affermare i loro sentimenti di avversione all’unità della patria e al progresso civile”.

La Pasqua nel 1901 cadde il 7 aprile. Il giorno dopo, l’8, in prima pagina sul quotidiano romano era pubblicato l’articolo Le processioni del Cristo morto nella provincia romana. Spettacoli medievali in cui c’era la cronaca delle quattro processioni che si erano tenute a Corneto Tarquinia nella settimana santa. A Civitavecchia, invece, la processione fu vietata per impedire che venisse “turbato l’ordine pubblico”.

L’anno dopo, con grande scorno degli anticlericali, la processione del Venerdì Santo fu permessa all’unica condizione che si svolgesse di giorno e non di notte come era di consuetudine.

Il Circolo Felice Orsini, repubblicano e anticlericale, con numerosi membri appartenenti alla Loggia massonica, presieduto dal consigliere comunale Giuseppe Alocci scrive una lettera pubblicata sul Messaggero: “Ieri (28 marzo 1902), Civitavecchia ebbe il gradito spettacolo della processione del Cristo morto, indetta dalla locale Società cattolica.

È da notarsi che l’anno scorso, dietro protesta dei partiti liberali, questa venne proibita, e ieri, sotto il governo liberale Zanardelli abbiamo assistito a tale esilarante coreografia”.

Gli esponenti dei partiti popolari inviarono un telegramma ironico al presidente del Consiglio, Giuseppe Zanardelli, in segno di protesta contro il permesso rilasciato alla processione: “Si ringrazia Vostra Eccellenza di avere procurato nostra città la coreografica processione indetta Società cattolica contraria principi italianità”.

Per fortuna, la processione del Cristo morto ancora oggi attraversa Civitavecchia, una città radicalmente diversa da quella del 1901, distrutta e deturpata dai bombardamenti del 1943/44 e dalla successiva ricostruzione. Testimonianza di Fede e identitaria tradizione sono gli ingredienti che la rendono assai cara ai Civitavecchiesi di oggi come di ieri, secolare simbolo della migliore “civitavecchiesità”.