DON IVAN LETO*

Il lebbroso è l’emarginato per eccellenza. Perfino il Levitico, contenente le leggi di Mosé e le prescrizioni per il popolo, al capitolo “lebbrosi” stabiliva che questi gridassero “Impuro! Impuro!” per impedire a chiunque di accostarsi.

La lebbra è ripugnante perché sfigura e storpia.

Coperti di stracci, anche sul volto, i lebbrosi si annunciavano con campanacci portati addosso. Un muro si frapponeva fra i sani e i colpiti dalla lebbra. E Gesù? Trasgredendo la prescrizione, non solo si accosta, ma addirittura li tocca! La presenza di Gesù abbatte il muro di separazione. La storia dice che sono stati quelli di Cristo ad occuparsi per primi dei lebbrosi. Fra i tanti esempi è ben conosciuto l’episodio con protagonista Francesco d’Assisi, giovane e pieno di vita. E un giorno, a cavallo, ne incontra uno nei pressi di Assisi.

Ne provò ripugnanza istintiva, ma non volendo venir meno all’impegno di diventare “cavaliere di Cristo”, balzò di sella e, mentre il lebbroso gli stendeva la mano per ricevere l’elemosina, Francesco gliela diede, ma lo baciò anche.

Il lebbroso non era un maledetto da Dio.

La Bibbia non lo dice. Gesù stesso per amore si fece come un lebbroso condannato a morte infame. Lo aveva intravisto il profeta Isaia contemplando il servo di Iahvé: “Non ha apparenza né bellezza, disprezzato e reietto dagli uomini, come uno davanti al quale ci si copre la faccia e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato”. Gesù impone il silenzio al lebbroso perché non è coi segni straordinari che si conduce alla fede.

A guarire, prima ancora che il male dell’altro, devono essere i nostri occhi, capaci di riconoscere, in ogni altro, il nostro prossimo.

*Don Ivan Leto

Cattedrale

Diocesi Civitavecchia - Tarquinia