ENRICO CIANCARINI 

CIVITAVECCHIA – Le iniziali informazioni sul terrificante bombardamento subito da Civitavecchia appaiono sulla prima pagina di Stampa Sera – ultima edizione – sabato e domenica 15-16-maggio 1943 Anno XXI. È pubblicato il “Bollettino N. 1085: Il Quartiere generale delle Forze Armate comunica: Civitavecchia, Palermo, Sassari e varie altre località della Sardegna sono state ieri obiettivo di bombardamenti aerei nemici; sono segnalate vittime tra le popolazioni e danni agli abitati, specie a Civitavecchia … Nelle incursioni di cui dà notizia il Bollettino odierno, si deplorano le seguenti perdite tra le popolazioni civili: a Civitavecchia 29 morti e 150 feriti”.

Al di sotto del Bollettino, c’è un altro trafiletto, estratto dall’Agenzia di stampa Stefani che annuncia: “I Sovrani a Civitavecchia tra la popolazione colpita. Civitavecchia, sabato sera.

Subito dopo l’incursione aerea nemica sono qui giunti all’improvviso la Maestà del Re Imperatore e della Regina Imperatrice, accolte ovunque dalla popolazione con fervide acclamazioni di commossa, devota riconoscenza”.

La redazione romana della Stampa invia nella città portuale così duramente bombardata un suo inviato: Roberto Beltrani. Il primo, lunghissimo articolo appare su LA STAMPA – Domenica 16 maggio 1943 – XXI ed è intitolato Il brigantesco attacco a Civitavecchia – Imprese dei “gangsters” dell’aria. Ne riportiamo un ampio stralcio:

“(Dal nostro inviato) Civitavecchia, 15 maggio.

I briganti yankees hanno scritto ancora una pagina vergognosa nella storia di questa guerra. Essi hanno scelto Civitavecchia a bersaglio dell’odio spaventoso che li anima e con deliberato proposito hanno seminato la rovina e la morte senza che nulla potesse giustificare in qualsiasi maniera le azioni che hanno svolte. Seguire le vie della città, guardare i luoghi colpiti, constatare i danni che sono stati fatti vuol dire avvertire chiarissima la ignobile volontà degli aggressori vili e nefandi.

Le chiese colpite.

Così sono state colpite due chiese: la bella e suggestiva cattedrale che ha un’ala in rovina, e la chiesa di Sant’Antonio su via Garibaldi dove quasi per miracolo è rimasta intatta soltanto una delle pareti sulla quale si vede ancora l’immagine del Santo. Con egual precisione sono stati presi di mira gli incroci più frequentati del centro della città, gli alberghi, il teatro Traiano, il cinema Italia. I banditi avranno sperato di cogliere nella sorpresa, che l’ingresso del mare poteva loro consentire, la gente agglomerata in questi luoghi di raduno e di affollamento, e con sadica voluttà avranno disseminato gli ordigni micidiali certi di mietere molte vittime.

Per l’italiano questa non è guerra, questa è una incommensurabile vigliaccheria compiuta da migliaia di metri di altezza, ciecamente: una vigliaccheria così satura di malvagità e d’odio da non sembrare più umana, sotto qualsiasi punto di vista si voglia considerarla. E gli aviatori americani, “gangsters” con l’uniforme del soldato, ma che del soldato non hanno nulla, anche a Civitavecchia hanno compiuto mitragliamenti nell’abitato.

Le mura sforacchiate dai proiettili, le pallottole che si trovano per ogni dove, documentano questa circostanza in maniera inequivocabile e costituiscono con le dichiarazioni univoche di tutti i cittadini, di tutte le autorità, di tutti i militari una prova che ancora una volta accusa, di fronte alla storia, senza speranza di riabilitazione e di scusa, questa massa di delinquenti che si è scatenata contro le nostre città.

Gli ordigni esplosivi.

Ma neanche i mitragliamenti bastavano e la suprema delle viltà è stata allora compiuta con il lancio abbondante di ordigni esplosivi: alle matite, alle penne stilografiche, agli orologi sono state anche aggiunte le false lampadine tascabili. Sono tutti mezzi che servono in modo particolare a determinare stragi fra i più ingenui, fra i più innocenti, fra i bimbi in una parola.

Si direbbe che i “gangsters” americani odiino i nostri bambini e le nostre donne, in maniera particolare. Essi sanno che la bontà istintiva dei primi, naturale e semplice delle seconde non consente loro di avvertire l’insidia atroce che i perfidi strumenti di morte racchiudono, ed eccoli a disseminarne la città e le campagne. E delle nostre donne, da queste serene e semplici donne di Civitavecchia, ho sentito che esse non riuscivano neppure a immaginare quale animo potesse avere uno di questi banditi per poter compiere una simile nefandezza. Nella purezza della loro bontà femminile esse assomigliavano il volto di questi malvagi seminatori di morte a quello del demonio, del genio del male. Ed è veramente diabolica la ferocia che può indurre i banditi dell’aria a costruire, camuffandoli con malizia spaventosa, e lanciare questi ordigni”.

È particolarmente interessante questo paragrafo dedicato agli ordigni esplosivi camuffati da giochi o da altri oggetti quotidiani. Le ricerche degli storici della Seconda guerra mondiale hanno sfatato questo falso mito che asseriva che i piloti “gangster” americani lanciassero sulle città italiane oltre alle grandi e devastanti bombe anche piccoli oggetti esplosivi. Nella ricerca effettuata dal CICAP piemontese è citato l’episodio di Civitavecchia su cui “dalle stive dei bombardieri era piovuto un intero supermercato”! Si trattava di propaganda fascista orchestrata dalle circolari della Difesa antiaerea inviata ai giornali. Le morti, soprattutto di giovani, furono causate dalla troppa curiosità e dall’imperizia con cui venivano maneggiati gli ordigni esplosivi ritrovati in campagna o in riva al mare come testimoniano due brevi articoli apparsi sempre su La Stampa nei mesi precedenti il tragico 14 maggio. È molto probabile che gli ordigni fossero di produzione italica, lì abbandonati dopo le frequenti manovre militari che il Regio esercito svolgeva nelle campagne civitavecchiesi:

22 febbraio 1943, “Civitavecchia, lunedì sera. In località Foce del Mignone alcuni giovani, trovato un residuato di guerra, si davano a percuoterlo provocandone lo scoppio. Quattro di essi vennero investiti dalle schegge: due, Giarretti Santo e Rossi Costante sono deceduti dopo alcune ore all’ospedale per le ferite riportate”.

24 marzo 1943, “Civitavecchia, mercoledì sera. In località Radicata del comune di Tolfa il pastore Pietro Dominici di 17 anni, rinveniva un proiettile inesploso che scoppiava uccidendolo all’istante”.

Il sanguinoso stillicidio proseguirà nei mesi successivi, il territorio urbano e rurale di Civitavecchia era imbottito di bombe e di altri ordigni esplosivi, alcuni dei quali scoperti solo da pochi anni.

Il reportage civitavecchiese di Roberto Beltrani comprende altri due paragrafi. Il primo è

“Anche le scuole cercate.

E con le chiese, i pubblici ritrovi, gli esercizi dove più si poteva supporre vi fosse affollamento, sono state colpite anche a Civitavecchia le scuole. Per fortuna esse non erano occupate dai bimbi. Ma sono state bombardate e mitragliate quando nessun obiettivo di carattere militare poteva giustificare simile atto, forse nella speranza di trovarle colme di scolari”. L’inviato, futuro primo direttore nell’Italia repubblicana dell’Agenzia Giornalistica Italia AGI, esibisce tutta la retorica fascista della vittima innocente che non comprende le motivazioni di tanto “odio” verso i bambini, le donne e le città italiane. A fianco delle notizie provenienti dalla devastata Civitavecchia, La Stampa pubblica ed esalta le notizie dei bombardamenti tedeschi su Londra e le altre città inglesi.

L’ultimo paragrafo del giornalista è intitolato

“Contro i monumenti.

I “gangsters” non hanno rispettato neppure i monumenti. Le Logge del Bernini, che sono così nobile vanto della città, sono state in parte danneggiate; le offese recate al Duomo costituiscono un’offesa grave al patrimonio spirituale di Civitavecchia, una di quelle offese destinate a rimanere scolpite indelebilmente nell’anima dei cittadini”.

Parole profetiche che un anno dopo saranno smentite con l’arrivo in città nel giugno del 1944 delle truppe alleate accolte da liberatori dall’oppressione fascista e nazista. Ma già il 26 luglio e l’8 settembre 1943, con la caduta di Mussolini e l’annuncio dell’armistizio fra Italia e potenze alleate, la popolazione italiana, compresi i civitavecchiesi, avevano esultato per la creduta fine della guerra per, subito dopo, restare profondamente delusi e terrorizzati dai lunghissimi e sanguinosi mesi di occupazione nazista.

Il 17 maggio, è aggiornato il numero delle vittime: “174 morti e 300 feriti finora accertati a Civitavecchia. Le vittime dell’incursione su Civitavecchia, di cui ha dato notizia il bollettino n. 1085, sono salite a 174 morti e 300 feriti finora accertati”. Il numero salirà ancora.

Altri articoli sono dedicati dalla Stampa ai bombardamenti subiti da Civitavecchia, la consultazione su internet è libera e gratuita. Chiudo con l’articolo “Il Vescovo di Civitavecchia riferisce al Papa sui danni causati dalle incursioni nemiche” pubblicato il 14 giugno 1943:

“Il Pontefice ha ricevuto monsignor Drago, Vescovo di Civitavecchia e Tarquinia, il quale gli ha fatto una dettagliata relazione sui danni causati alle Chiese e Istituti religiosi dalle recenti incursioni aeree, diffondendosi ad illustrare l’opera svolta dal clero per l’assistenza ai feriti e in genere alla popolazione. Il Vescovo ha avuto parole di alto elogio per lo zelo e l’abnegazione dei Salesiani e dei Cappuccini. Ha riferito che, essendo l’Episcopio di Civitavecchia reso del tutto inabitabile, egli è costretto a soggiornare in quello di Tarquinia. Di là ogni giorno si reca a Civitavecchia. La chiesa di S.ta Firmina, Patrona della città, gravemente danneggiata, viene ora restaurata ad opera dei domenicani che la officiano”.

Il vescovo Luigi Drago morì il 4 novembre 1944 per lo sforzo e i sacrifici sopportati in quei mesi terribili spesi nel sostenere l’impaurita popolazione civitavecchiese. A lui sono dedicate vie nella natia Cologno al Serio e nella vicina Bergamo, la nostra città non l’onora nella toponomastica.

Del breve articolo mi ha intimamente ferito l’ultima riga in cui si dà notizia che la chiesa di Santa Fermina, nostra patrona, gravemente danneggiata, viene ora restaurata dai frati Domenicani che la officiano. Non so se il cronista parli della cappella all’interno della Fortezza Giulia o, come suppongo, si riferisca alla Chiesa di Santa Maria, dove era custodita la statua della Santa in una nobile e ricca cappella. Non importa, la mancata ricostruzione della Chiesa e del convento domenicano di Santa Maria è la più grave perdita storica e spirituale che Civitavecchia ha dovuto subire a causa delle immani e crudeli distruzioni durante la Seconda guerra mondiale.

Non averla ricostruita ha per sempre immiserito la nostra Comunità.