CERVETERI - Due storie simili, due famiglie distrutte dal dolore, due vite spezzate troppo presto. Da una parte c’è Marco Vannini. Ha appena 20 anni quando la sua vita si è fermata a causa di un colpo di pistola sparato dal padre della sua fidanzata, Antonio Ciontoli, mentre si trovava a casa loro, nella villetta in via Alcide De Gasperi a Ladispoli. Dall’altra parte c’è Serena Mollicone, 18 anni di Arce, in provincia di Frosinone. Anche il suo cuore ha smesso di battere troppo presto. «Era doveroso per noi venire qui oggi». A parlare è Valerio Vannini, padre di Marco e presente venerdì al tribunale di Cassino, insieme a Marina, sua moglie, per dare supporto a una giovane vita spezzata e a chi fino a ieri si è battuto per chiedere giustizia per Serena. «Era una ragazza di 18 anni come Marco ne aveva 20 ed è stata uccisa in modo crudele come nostro figlio Marco», ha commentato Marina. «So che durante la requisitoria sono stati fatti molti paragoni tra Serena e Marco. Serena oggi qui non ha il papà ( morto il 31 maggio 2020 all'ospedale Spaziani di Frosinone dove era in coma dal 27 novembre 2019 in seguito a un infarto, ndr) che si è battuto come un leone e quindi volevamo stare vicino a una persona che si è battuta come noi, che non ha avuto paura di niente e nessuno». «All’epoca non seguivamo i fatti di cronaca come quello di Serena, ma quando abbiamo sentito al telegiornale la notizia, ci è entrata nel cuore», ha aggiunto Valerio Vannini.

IL FATTO. La ragazza scomparve il primo giugno del 2001 per poi essere ritrovata morta due giorni dopo in un bosco poco vicino. Secondo l'ipotesi accusatoria, a seguito degli accertamenti del Ris svolti quasi 20 anni dopo i fatti su insistenza del padre di Serena, si trattò di un omicidio avvenuto all'interno della caserma dei carabinieri di Arce. Cinque le persone imputate del delitto: Franco, Marco e Anna Maria Mottola e i carabinieri Vincenzo Quatrale e Francesco Suprano. Per l'accusa Serena fu uccisa all'interno della caserma da Mottola jr. Il cranio di Serena sbattè contro lo stipite della porta al culmine di una lite. Secondo quanto accertato da consulenze e perizie, la 18enne morì dopo 5 ore di agonia a causa del nastro adesivo sulla bocca e sul naso. Secondo l'accusa i genitori di Mottola si sarebbero occupati dell'occultamento del cadavere. E proprio venerdì a Cassino, i giudici di primo grado si sono espressi sulla vicenda assolvendo l’intera famiglia Mottola "per non avere commesso il fatto" e per gli altri due imputati: Vincenzo Quatrale, all'epoca vice maresciallo e accusato di concorso esterno in omicidio, e per l'appuntato dei carabinieri Francesco Suprano a cui era contestato il favoreggiamento con la formula "perché il fatto non sussiste".
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