SANTA MARNELLA - A distanza di sette anni dalla vicenda balzata alle cronache circa presunti abusi su minori che si sarebbero consumati nella casa famiglia “Monello mare” di Santa Marinella, il pm ha chiesto la condanna dei cinque imputati, tra i quali lo psicologo e responsabile della struttura, Fabio Tofi (62 anni di Montefiascone), arrestato dalla Polizia il 13 maggio 2015 e poi rimesso in libertà dopo 45 giorni.

Tre anni e sei mesi di reclusione la condanna chiesta per Tofi e tre anni ciascuna per la moglie e le tre operatrici imputate con le accuse, a vario titolo, di maltrattamenti aggravati, violenza sessuale e lesioni aggravate.

Tofi, difeso dall’avvocato Vincenzo Dionisi del foro di Viterbo, venne sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari a seguito di precise accuse presentate da due sorelle viterbesi all’epoca dei fatti adolescenti, ex ospiti della struttura. La denuncia arrivò a circa un anno di distanza dall'allontanamento delle due sorelle dalla struttura in quanto ritenute pericolose (i genitori delle ragazze sono finiti a loro volta sotto processo a Viterbo per abusi sessuali e maltrattamenti in famiglia).  Tra le parti offese, nel processo ormai giunto alla fase finale,  inizialmente c’era anche un altro minorenne viterbese, che però ha poi ritrattato,  smentendo tutto durante l’incidente probatorio.

Il processo, presso il tribunale di Civitavecchia, è stato aggiornato al prossimo 10 maggio per le repliche e la sentenza finale.

Il difensore di Tofi ha più volte parlato di denunce “frutto di una vendetta”.

“Quelle avanzate dall’accusa – dice il legale – sono prove di natura prettamente verbale, non sostenute da alcuna prova provata. La casa famiglia, faticando a gestire la situazione, già nel 2014 aveva redatto delle relazioni per il tribunale minorile e aveva avuto uno scambio di mail su questi problemi con gli assistenti sociali. Qui si sta parlando solo di un processo indiziario e l’ho fatto presente al tribunale, presentando una corposa documentazione dove ho smontato tutte le accuse fatte al mio assistito”.

“Nessuna traccia di cibo scaduto – afferma l’avvocato Dionisi - il cibo che i minori consumavano nella struttura era lo stesso che cucinavano e mangiavano anche gli operatori e i figli degli operatori, che spesso stavano con i genitori. Quello scaduto o avariato, quando c’era, veniva riposto in un magazzino fuori dalla casa famiglia per essere consegnato a un vicino che lo usava per i suoi animali in cambio di verdure fresche”.

“Abbiamo testimoni che hanno detto espressamente che in quella struttura si sono trovati benissimo – dice il legale – parlo di una ragazza che stava facendo tirocinio e che aveva chiesto di fare più ore di servizio”.

Si è parlato anche di molestie sessuali? “Tofi – afferma l’avvocato Dionisi – non aveva alcun rapporto con i ragazzi, infatti, ad accompagnare i giovani a scuola o il giro, erano le assistenti, Tofi incontrava i ragazzi tutti insieme per finalità prettamente terapeutiche. Devo dire inoltre che in sede di incidente probatorio, e anche nel dibattimento, ci sono state le ritrattazioni di alcuni di coloro che avevano fatto le accuse. E’ giusto però ricordare che i giovani non erano ospiti di una Casa Famiglia, ma di una Comunità Appartamento cosi da quanto si evince da una legge regionale del Lazio”.

Dunque il 10 maggio si decide? “Alle 14 inizierà l’ultima udienza – spiega l’avvocato Dionisi – con le repliche degli avvocati e poi ci sarà la sentenza. Io chiederò l’assoluzione per Tofi per non aver commesso il fatto considerate le prove molto contraddittorie”.

 

Presunzione di innocenza: Per indagato si intende una persona nei confronti della quale vengono svolte indagini preliminari in un procedimento penale. Nel sistema penale italiano vige la presunzione di innocenza fino al terzo grado di giudizio. La presunzione di innocenza si basa sull’articolo 27 della Costituzione italiana, secondo il quale una persona “Non è considerata colpevole sino alla condanna definitiva”.  La direttiva europea n 343 del 2016, recepita con la legge delega n 53 del 2021 stabilisce che "nessun indagato possa essere considerato come colpevole prima che nei suoi confronti venga emessa una sentenza di condanna".