Senza voler strumentalizzare la tragedia di Tvn, l’ennesima riflessione è d’obbligo, ora che - anche troppo tardi, secondo le fredde statistiche citate con altrettanta freddezza dall’azienda - c’è stata una vittima diretta della riconversione: quanto ancora si dovrà dare all’Enel? Tralasciamo un aspetto singolare, al limite del grottesco: che in un cantiere dove, a detta di tutti coloro che vi operano, ogni giorno si rischia la vita per sovraffollamento, lavori che si sovrappongono ed altre carenze dal punto di vista della sicurezza, l’unico indagato, finora, per la morte di Michele Cozzolino sia un altro operaio, che ha l’unica colpa di essersi fatto sfuggire quel maledetto pezzo di ferro, è inaccettabile. Magari poi si scoprirà che la fatalità era inevitabile (quel tubo che si infila in 10 cm di spazio), ma prima ancora di quell’operaio, ora distrutto dal rimorso, siamo convinti che si sarebbero dovuti iscrivere sul registro degli indagati il responsabile del cantiere, quello della sicurezza. Se non altro come atti dovuti, come è stato per il collega di Michele che avrebbe potuto benissimo trovarsi al suo posto. Il fatto è che non si vede chi possa alzare la voce riuscendo a farsi ascoltare: siamo ridotti ad elemosinare qualche soldo per far quadrare i bilanci di una delle meno efficienti e più costose macchine amministrative che anni ed anni di politica piccola piccola hanno prodotto.

Oltre quarant’anni di inquinamento – e di morti “silenziose” - non sono stati sufficienti a far piazza pulita non del carbone, ma delle centrali. A Civitavecchia nemmeno “Nimby” (Not in my back yard, “non nel mio cortile”) è riuscita a farsi sentire: troppi falsi no-coke tra i sinceri e convinti oppositori del progetto. Troppa politica: dopo l’ondata di successi del centrodestra, che hanno visto le opposizioni cavalcare la protesta popolare, con la nuova filiera ulivista che fine hanno fatto molte delle voci contro il carbone? Che fosse un affare di Stato era chiaro fin dall’inizio. Che l’interesse nazionale finisse al di sopra di tutto e di tutti, con buona pace dei civitavecchiesi, è diventato un dato di fatto con Prodi, Marrazzo ed i sindaci del centrosinistra. Ma non è la semplice ottica di appartenenza ad interessare. Quel che rileva è che nel frattempo i cittadini, di destra, di centro e di sinistra, hanno comunque subito – complice l’inadeguatezza di coloro che sono stati inviati a sedere tra i banchi di palazzo del Pincio – una scelta industriale che peserà per decenni, senza lasciare nulla al territorio, se non qualche briciola, e privandolo comunque del bene principale, più prezioso ancora della salute stessa e dell’occupazione: la possibilità di scegliere per il proprio futuro.


Quando, infatti, la forza della politica abdica al potere economico, per le comunità soggette a quei poteri la limitazione delle libertà è fortissima. Abbiamo già sostenuto in altre occasioni che oggi il vero “signore” del comprensorio, da cui dipendono molte delle decisioni di Sindaci e politici locali, ha il suo ufficio a Roma, in viale Regina Margherita. E così sarà per molto tempo ancora, se questa città non saprà darsi una nuova classe dirigente, al di là della appartenenza “politica”, in cui siano veramente raccolte le migliori intelligenze della zona, per riprendere il leit motiv di qualcuno che questo proposito lo ha tradito subito dopo il voto. (m.gra)