Angelo Perfetti

FIUMICINO - La proposta di riscrittura del terzo comma dell’articolo 114 della Costituzione segna un passaggio che, se approvato, ridisegnerà non soltanto il futuro della Capitale, ma anche l’architettura amministrativa dell’intero Lazio. È una riforma che non si limita a correggere un impianto normativo, ma interviene su un nodo storico: la difficoltà di governare un’area vasta e complessa con strumenti pensati per una città ordinaria, in un contesto – quello romano – che ordinario non è mai stato.

La nuova formulazione attribuisce a Roma poteri propri dei Comuni, delle Città metropolitane e delle Regioni a statuto ordinario. Una scelta che punta a superare un sistema istituzionale stratificato, nel quale la pluralità di enti, ruoli e competenze ha spesso generato sovrapposizioni, conflitti e ritardi. Ma ogni semplificazione nasconde una trasformazione più ampia, che riguarda il modo in cui la Capitale si rapporterà al territorio circostante.

L’effetto più immediato riguarda la Città Metropolitana di Roma Capitale, ente già oggi debole nella sua configurazione. Con la riforma, le funzioni metropolitane verrebbero assorbite da Roma: pianificazione strategica, mobilità, rete scolastica superiore, tutela ambientale, sviluppo economico. È un cambiamento che sancisce la fine dell’ente di area vasta così come lo abbiamo conosciuto.

Se il quadro è chiaro per Roma, meno lo è per i 120 comuni oggi parte della Città Metropolitana.

L’abolizione dell’ente intermedio li pone davanti a una prospettiva inedita: rapportarsi direttamente con la Capitale o con la Regione Lazio, senza più un organismo che faccia da raccordo.Su questo punto la riforma tace, e la legge statale prevista dal nuovo testo sarà chiamata a riempire un vuoto che rischia di diventare una criticità politica e amministrativa. È legittimo domandarsi quali strumenti saranno previsti per garantire la rappresentanza dei comuni dell’hinterland, la gestione dei servizi sovracomunali e la programmazione territoriale integrata. Senza un disegno chiaro, vi è il rischio che il territorio metropolitano perda un presidio essenziale.

L’altro elemento rilevante della riforma è il coordinamento tra Roma e Regione Lazio, che una futura legge statale dovrà definire. È un passaggio delicato, perché molte competenze oggi regionali – dai trasporti all’urbanistica strategica, fino ad alcune politiche ambientali – potrebbero essere trasferite alla Capitale.

La Regione vedrebbe dunque assottigliarsi il proprio ruolo su un segmento fondamentale del territorio. Ma d’altro canto, Roma, in quanto Capitale, deve poter esercitare un governo più diretto su funzioni che incidono sulla sua dimensione internazionale. La sfida, dunque, non è stabilire chi conta di più, ma costruire un equilibrio istituzionale che eviti contrasti e renda possibile una governance efficace.

Una legge mal calibrata potrebbe produrre un dualismo conflittuale; una norma ben costruita potrebbe invece inaugurare una fase di cooperazione virtuosa.

Una novità non marginale riguarda i municipi: Roma potrà delegare loro funzioni amministrative mediante legge. Questo aspetto, se valorizzato, può trasformare la macro-Capitale in un sistema policentrico più funzionale, dove i territori hanno autonomia operativa reale e non soltanto formale.

Ma anche qui la chiave è nei dettagli: quali funzioni verranno delegate? Con quali risorse? Con quali poteri di controllo e con quale spazio decisionale? Una riforma disegnata male rischierebbe di generare venti municipalità forti solo sulla carta; una riforma ben calibrata potrebbe avvicinare davvero l’amministrazione ai cittadini.

Il nuovo assetto avvicina Roma a modelli già esistenti in Europa. Berlino è un Land, Parigi ha unificato Comune e Dipartimento, Londra dispone di una forte autorità metropolitana. In questo quadro, Roma si muove verso una configurazione più coerente con quella delle altre capitali occidentali, assumendo un ruolo istituzionale commisurato al suo peso demografico, culturale e geopolitico.

La differenza principale rispetto ai modelli stranieri sta nella gestione dell’area vasta: qui la riforma italiana lascia aperto un capitolo tutto da scrivere.

La modifica dell’articolo 114 della Costituzione è attualmente oggetto di esame parlamentare nell’ambito del disegno di legge costituzionale dedicato al riconoscimento di uno “status speciale” per Roma Capitale. Il testo, già presentato dal Governo e assegnato alle Commissioni Affari costituzionali di Camera e Senato, prevede la riscrittura del terzo comma dell’articolo 114 e l’attribuzione a Roma dei poteri propri di Comuni, Città metropolitane e Regioni a statuto ordinario.

La riforma sta seguendo l’iter previsto dall’articolo 138 della Costituzione: doppia lettura conforme per ciascuna Camera, intervallata da un periodo minimo di tre mesi, con possibilità di referendum confermativo qualora non venga raggiunta la maggioranza dei due terzi in entrambe le votazioni finali. Si tratta dunque di una riforma costituzionale piena, che non interviene con legge ordinaria ma modifica direttamente l’assetto della Carta, e che mira a ridefinire il ruolo istituzionale di Roma dentro l’ordinamento repubblicano.

La riforma – come detto – è in discussione e dunque alcuni dettagli chiave (quali materie esatte, ripartizione puntuale delle funzioni, modalità di coordinamento, tempi di attuazione) sono ancora in fase di definizione.

La riforma, counque, non garantisce di per sé un miglioramento del governo della Capitale. Offre però uno spazio politico e istituzionale per intervenire in modo organico su problemi annosi: la frammentazione delle competenze, la lentezza decisionale, la difficoltà nel coordinare Roma con il territorio circostante.

Molto dipenderà dalle leggi attuative, dagli investimenti, dalla capacità delle istituzioni di dialogare. Le norme costituzionali possono creare cornici; sta alla politica riempirle di contenuti e renderle efficaci. La riforma apre una strada. Percorrerla bene non è scontato. Ma ignorarne il potenziale sarebbe un errore altrettanto grande; in questo scenario, l’ipotesi di una nuova Porvincia (Porta d’Italia) che sia forte, coesa ed eonomicamente importante per il Pil regionale, potrrebbe essere il modo per non restare ulteriormente strangolati da una Capitale sempre più concentrata su se stessa e i propri bisogni.