La Palestina è uno stato sovrano, poiché rispecchia quelle tre caratteristiche che deve avere un’organizzazione statale quali il monopolio della forza pubblica, un apparato statale e un territorio definito (questo forse l’unico punto debole e discusso). Il problema è il riconoscimento degli altri Stati e quello all’ONU. In questo ultimo punto, dal 2012 la Palestina gode di uno di status da “osservatore”. Un riconoscimento importante per il futuro di un Paese che ha una storia millenaria. Ma è nello sport che le cose sono più emblematiche e degne di essere raccontate. Lo sport è arrivato prima dell’ONU. Nel 1995 il CIO (Comitato Internazionale Olimpico) ha riconosciuto la Palestina con un proprio CNO (Comitato Nazionale Olimpico). Questo gli ha permesso di presentarsi dal 1996 in poi alle Olimpiadi. Ai Giochi di Atlanta ‘96 gareggiarono due atleti, entrambi nell’atletica (Majdi Abu Marahil nei 10.000 piani e Ihab Salama nei 1500). Già a Londra gli atleti furono cinque, confermati anche a Tokyo 2020. Nessuna medaglia fino ad ora per gli atleti olimpici della “Terra Santa”, ma lo stesso non si può dire di quelli Paralimpici (partecipano dal 2000) visto che in bacheca possono vantare due medaglie, un argento e un bronzo. La Palestina è uno di quei 13 CNO che non rispecchiano quello status di Paese sovrano con seggio all’ONU (come Portorico o Aruba per intenderci). Ma non è solo il CIO ad aver riconosciuto l’autorità palestinese. Lo stesso ha fatto la FIFA nel 1998 riconoscendo la Federcalcio palestinese, la quale comunque fu istituita nel lontano dal 1928. Anche se la Palestina, nello sport, gioca in Asia mentre Israele in Europa si può affermare che lo sport ha anticipato di quasi 30 anni il percorso del riconoscimento della Palestina come Paese. Un motivo in più per comprendere l’importanza dello sport nel delicato panorama geopolitico mondiale.

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