ROMA - Su disposizione della Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, è in corso, nell’ambito dell’inchiesta «Propaggine», una vasta operazione della Direzione Investigativa Antimafia per dare esecuzione a un’ordinanza, emessa dal Gip presso il Tribunale di Reggio Calabria nei confronti di 34 persone (29 in carcere e 5 agli arresti domiciliari) gravemente indiziate, a vario titolo, di associazione mafiosa, scambio elettorale politico-mafioso, favoreggiamento commesso al fine di agevolare l’attività del sodalizio mafioso e detenzione e vendita di armi comuni da sparo ed armi da guerra aggravate. Le indagini sviluppate dal Centro Operativo Dia di Roma hanno fornito gravi indizi dell’esistenza dell’associazione di ’ndrangheta denominata cosca Alvaro/Penna, i cui sodali risultano detentori di un radicato controllo del territorio e delle attività economiche, nonché infiltrate nella gestione di alcune amministrazioni locali. Il possesso di armi, anche da guerra, da parte dei componenti dell’associazione criminosa, determina, secondo gli inquirenti, la pericolosità dell’associazione stessa.

«Le indagini svolte hanno consentito di appurare» come «i sodali della cosca Alvaro abbiano dato vita, nel territorio della Capitale, ad un’articolazione (denominata ’locale di Roma'), che rappresenta un ’distaccamento' autonomo del sodalizio radicato a Sinopoli e Cosoleto, in provincia di Reggio Calabria. È emersa, sempre allo stato degli atti, un’immagine nitida dell’esistenza di una propaggine romana, oggetto della corrispondente attività di indagine della Dia di Roma, connotata da ampia autonomia nella gestione delle attività illecite, ed al contempo della permanenza dello stretto legame con la casa madre sinopolese, interpellata per la soluzione di situazioni di frizione tra i sodali romani o per l’adozione di decisioni concernenti l’assetto della gerarchia criminosa della capitale. La stessa costituzione del distaccamento romano è stata in origine autorizzata dai massimi vertici della ’ndrangheta, operanti in Calabria». È quanto emerge dall’inchiesta «Propaggine» che stamane, nella sua articolazione calabrese, ha portato all’arresto di 34 persone (29 in carcere e 5 agli arresti domiciliari) gravemente indiziate, a vario titolo, di associazione mafiosa, scambio elettorale politico-mafioso, favoreggiamento commesso al fine di agevolare l’attività del sodalizio mafioso e detenzione e vendita di armi comuni da sparo ed armi da guerra aggravate.

VITTIME INTIMORITE NON DENUNCIAVANO PER PAURA RITORSIONI - «L’insieme delle circostanze hanno dato prova del metodo mafioso e della paura di coloro che si sono trovati sulla strada dei capi e degli associati della ’localè ’ndrina» con a capo la «diarchia Carzo e Alvaro, o di Giuseppe Penna che professava la sua aperta vicinanza alla ’ndrangheta (»dietro di me c’è una nave«), anche spalleggiandosi delle intime amicizie e frequentazioni con Domenico Alvaro detto Micu U Merru (già condannato definitivo per 416 bis), impedendo alle vittime così di denunciare alle Forze dell’ordine avendo paura di ritorsioni». È quanto scrive il gip di Roma Gaspare Sturzo nell’ordinanza con cui ha disposto 43 arresti nell’ambito dell’indagine della Dda della Capitale e della Dia, coordinata dai procuratori aggiunti Michele Prestipino e Ilaria Calò, nei confronti della prima ’ndrina calabrese attiva a Roma e sgominata con la maxi operazione di oggi. «Siamo di fronte ad un complesso di vicende che a partire dal 2015/2016 si sono sviluppate, alcune ancora in corso sino al settembre 2020 - si legge nell’ordinanza - e comunque con effetti di permanenza quanto a società ed aziende ad oggi gestite con capitali di illecita provenienza, o oggetto di riciclaggio, mostrando come gli indagati sono stati in grado di impedire ogni forma di collaborazione con le autorità giudiziarie, sia delle vittime, come di professionisti non collusi con costoro, nonché degli stessi dipendenti delle aziende e società».

COSCA A ROMA SI SERVIVA DI CLAN FASCIANI PER RISCOSSIONE CREDITI. Minacce anche per il giornalista Klaus Davi, ‘quello sbirro…’ - Il boss della locale di ’ndrangheta a Roma, Vincenzo Alvaro, «ha compiti di decisione, pianificazione e di individuazione delle azioni delittuose da compiere, degli obiettivi da perseguire e delle vittime da colpire, impartisce direttive alle quali gli altri associati danno attuazione». È quanto si legge nell’ordinanza con cui il gip di Roma Gaspare Sturzo ha disposto 43 arresti nell’ambito dell’indagine della Dda della Capitale e della Dia, coordinata dai procuratori aggiunti Michele Prestipino e Ilaria Calò e dai pm Giovanni Musarò e Francesco Minisci, nei confronti della prima ’ndrina calabrese attiva a Roma e sgominata con la maxi operazione di oggi. Alvaro «concorre nella commissione di alcuni delitti, soprattutto in materia di intestazioni fittizie di attività commerciali, settore nel quale Alvaro è un autentico punto di riferimento non solo per tutti gli altri sodali, ma anche per soggetti appartenenti ad altre cosche e che intendono investire sul territorio della capitale» scrive il gip - e «mantiene i contatti con personaggi di vertice di altre cosche» tra cui Terenzio Fasciani, «rappresentante dell’omonimo clan, di cui si serve anche per riscuotere crediti delle attività commerciali fittiziamente intestate o per ottenere vantaggi illeciti nel settore ittico o in quello del ritiro delle pelli e degli olii esausti». La locale di ’ndrangheta a Roma inoltre era preoccupata dall’iniziativa promossa 5 anni fa dal giornalista Klaus Davi di affiggere nella metropolitana di Roma una mappa delle stazioni ’Ndrangheta di Roma, con tutti i nomi dei boss tra cui quelli dei due capi della ’diarchia' della Capitale, Antonio Carzo e Vincenzo Alvaro. Un «elemento di riflessione riguarda le minacce di Carzo contro il giornalista - opinionista Klaus Davi - scrive il gip Sturzo - reo di aver attirato l’attenzione sulla ’ndrangheta a Roma avendo progettato di voler affiggere alle fermate della metropolitana i nomi dei boss calabresi e tra questi proprio Carzo e Alvaro, mettendo in pericolo la loro copertura. In una conversazione intercettata, proprio il boss dice: »’sto sbirro di Klaus Davi voleva mettere i boss della ’ndrangheta a Roma, chi sono...e voleva appiccicarli nelle fermate...da...della metropolitana...come ha fatto a Milano...e aveva messo me...a Vincenzo...ora ti mostro...". L’iniziativa del giornalista, »fu poi bloccata - si legge nell’ordinanza - ma non sappiamo se ci possa essere stata qualche connessione tra il blocco di allora e le successive minacce di Carzo".

INCONTRI SOLO A MATRIMONI O FUNERALI - "Siamo una carovana per fare la guerra”, diceva il boss Vincenzo Alvaro, nelle intercettazioni finite agli atti dell’inchiesta.

Il legame tra la ‘casa madre’ sinopolese e la propaggine romana è stato sempre attivo e gestito con estrema cautela: le indagini hanno disvelato che, secondo una strategia ben specifica, i due capi del ‘locale’ di ‘ndrangheta romani limitavano al minimo gli incontri di persona con i vertici calabresi, facendoli coincidere con eventi particolari, quali matrimoni o funerali, in occasione dei quali si sono svolti incontri fugaci ma risolutivi; nei casi di estrema urgenza, poi, gli incontri sono stati concordati mediante l’intermediazione di ‘messaggeri’. Alcuni dei destinatari della misura cautelare sono stati già condannati per l’appartenenza alla cosca Alvaro con sentenze passate in giudicato.

Oltre agli arresti, i procuratori aggiunti Michele Prestipino, Ilaria Calò e il pm Giovanni Musarò hanno disposto il sequestro di 24 società e attività tra cui bar, ristoranti e pescherie nell’area nord della Capitale, in particolare a Primavalle.