CIVITAVECCHIA - Appena uscito il nuovo libro: “Il vento spazza la polvere. Come liberarsi dal carbone”.

SINOSSI: L'emergenza climatica e l'indipendenza energetica - che la guerra in Ucraina ha reso drammaticamente urgente - pongono l'Europa e il nostro Paese di fronte alla necessità di una svolta che ci liberi dagli idrocarburi. Oggi non esistono limiti tecnici che impediscano di coprire l'intero fabbisogno di energia del Paese con fonti pulite e rinnovabili: l'unico ostacolo è l'assenza di una volontà politica. A Civitavecchia questa scelta è stata resa possibile dall'impegno di amministrazioni locali, cittadini, associazioni e sindacati, che si sono confrontati - e scontrati - con ipotesi che sostituissero il carbone e il gas. Angelo Mastrandrea racconta il successo di un progetto vincente: la costruzione di una centrale eolica in mezzo al mare. Introduzione di Federico Maria Butera.

Ecco un estratto…

L’esempio di Civitavecchia All’orizzonte del lungomare di Civitavecchia tre navi carboniere si muovono con lentezza. Una scia nerastra di fuliggine le protegge dal sole di luglio, distendendosi come un ombrello sull’intero perimetro di questi mostri del mare. Il cielo terso fa risaltare ancora di più quel colore innaturale e cupo, che sa di miniere e minatori. Era una bella giornata anche al Bois du Cazier, l’8 agosto del 1956, quando il cielo di Marcinelle fu oscurato da una nuvola nera proveniente dal sottosuolo che intossicò a morte 262 operai, 136 dei quali immigrati dall’Italia, soffocati da un accordo tra governi che prevedeva duecento chilogrammi di carbone per ogni lavoratore spedito a spalarlo. Oggi invece il pulviscolo di carbone aleggia innocuo in lontananza, quasi neutralizzato dal paesaggio circostante, come una leggera macchia di sporco su una natura morta.

Riccardo Petrarolo lo indica mentre sorseggia un drink al tavolino di un bar che ha l’ambizione di somigliare a un bistrot parigino. Non ci fosse lui a mostrarlo, passerebbe quasi inosservato. D’inverno, spiega, il fumo si nota di più. Nei giorni in cui il vento spira da ovest, il ponentino che d’estate arieggia Roma lo sospinge verso la città. «Il pulviscolo si disperde nell’atmosfera e noi lo respiriamo, sono decenni che qui la gente si ammala e muore per questo» dice. Comitati e associazioni riconducono la presenza della nube all’asma che affligge bambini e ragazzi o alle morti causate dal cancro. Da anni chiedono una mappatura precisa delle patologie legate all’inquinamento ambientale, ma non hanno mai ricevuto risposte precise e definitive dalle autorità. Se ne trovano solo tracce qua e là, disseminate tra le centinaia di documenti che commissioni, enti di valutazione ambientale ed esperti hanno prodotto senza venire a capo di nulla.

Nel 2004, i periti nominati dal tribunale di Civitavecchia hanno scritto nella loro relazione che «la diagnosi epidemiologica della comunità indica un eccesso di morbosità e mortalità rilevante da un punto di vista di sanità pubblica». Hanno aggiunto che «la speranza di vita dei cittadini che vivono in aree con livelli di inquinamento elevato è diminuita» e che «i più colpiti dall’inquinamento ambientale sono gli anziani e le persone in condizioni di salute più compromesse, come i malati di patologie cardiache e respiratorie», che «i bambini tendono ad ammalarsi più frequentemente per cause respiratorie» e che «i neonati sembrano essere a particolare rischio di morte per effetto dell’inquinamento ambientale». Poi hanno concluso che «la situazione sanitaria della popolazione residente a Civitavecchia, per quanto riguarda alcune patologie per le quali è accertato dal punto di vista scientifico il ruolo delle esposizioni ambientali (tumore polmonare, tumore della pleura, malattie renali e patologia respiratoria in ambito pediatrico), appare compromessa». Il dipartimento Epidemiologia e Prevenzione della regione ha certificato che l’intera area è al primo posto nel Lazio per mortalità da tumori di ogni tipo, dai polmoni all’intestino.

Il costo per lo Stato è «enorme», ha spiegato al mensile «Altreconomia» Giovanni Ghirga, un dottore del luogo iscritto all’associazione Medici per l’ambiente (ISDE): circa tre milioni di euro a malato, secondo un calcolo dell’Unione Europea. Ghirga è un pediatra, esperto del rapporto tra inquinamento e disturbi del neurosviluppo. «L’emissione del carbone emette nell’ambiente gli inquinanti più tossici conosciuti: polveri fini e ultrafini, mercurio, piombo, arsenico e diossine. Vivere vicino alle centrali può causare ritardi del linguaggio, autismo e disturbi dell’attenzione» dice. Ghirga non è l’unico medico ad aver analizzato i danni provocati dall’impianto e dal passaggio delle navi carboniere. Paolo Giardi, un dottore in pensione nominato portavoce del Comitato dei medici per la difesa dell’ambiente e della salute, si è concentrato sui danni all’ambiente. «L’immissione massiva delle particelle che nascono dalla combustione del carbone, ad alto contenuto di zolfo, mette a repentaglio non solo la salute umana, ma anche l’ecosistema vegetale, perché le particelle poi ricadono in mare e sulle coltivazioni». La polvere nera si posa sui campi, e il rischio per la salute è tale che a Brindisi è stata vietata la produzione di frutta e verdura nel raggio di 500 metri attorno alla centrale. La Corte di Cassazione ha sentenziato che «la copertura dei carbonili» sarebbe stata «l’unica soluzione impiantistica» che avrebbe potuto contenere l’inquinamento. Quando ho chiesto ad alcuni operai del quartiere Tamburi, davanti all’Ilva di Taranto, cosa pensassero del progetto di coprire i depositi di carbone, mi sono sentito rispondere: «Finirà che ci toglieranno anche il sole».

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