Uno sguardo sul mondo Sudan: la fine della transizione democratica
ETTORE SALADINI
Il Sudan è precipitato nuovamente nel caos. All’alba del 25 ottobre, il governo di Karthoum è stato messo sotto attacco da una serie di operazioni militari guidate dal generale al Burhan. Il primo ministro Abdalla Hamdok è stato sorpreso nella sua abitazione da un manipolo di soldati che, oltre al leader, hanno deposto e arrestato altri membri del Consiglio Sovrano e ministri. In seguito, la capitale è stata isolata. I soldati hanno bloccato strade e ponti, interrotto i servizi internet, le telecomunicazioni, chiuso l’aeroporto e fatto irruzione nelle sedi della televisione e radio di Stato, arrestando gli impiegati.
Il Sudan, prima del golpe, si trovava in una delicata fase di transizione che vedeva al potere militari e civili al seguito della destituzione del presidente Al Bashir nell’aprile del 2019. Il governo a composizione mista, dopo 30 anni di governo autoritario, aveva l’obiettivo di guidare il paese verso una transizione democratica pacifica, in grado di porre fine ai sanguinosi conflitti interni e di soddisfare le richieste dei cittadini di un governo democratico. Ora però, lo scioglimento del governo e del Consiglio sovrano, l’organo simbolo della transizione, potrebbe rappresentare un punto di non ritorno per il fragile processo di democratizzazione dello Stato africano. Questo golpe è, infatti, l’apice di un periodo di forti tensioni interne e tentativi di rovesciamento. Lo Stato africano conta almeno 80 partiti con una limitata capacità di mobilitazione politica che, negli ultimi anni, ha aperto la strada a numerosi interventi militari, tutti sorti con l’obiettivo di restaurare l’ordine in un paese con troppe voci discordanti. Alla crisi politica si aggiunge anche una possibile crisi umanitaria. Migliaia di manifestanti sono scesi in piazza per protestare contro i leader militari e la reazione è stata violenta. L’esercito ha sedato le tensioni utilizzando armi e munizioni vere. Secondo il Comitato centrale indipendente dei medici del Sudan il bilancio totale sarebbe di 12 morti e almeno 170 feriti.
Le reazioni della comunità internazionale non sono tardate. Gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno dichiarato di essere profondamente allarmati per la situazione, e hanno richiesto il rilascio di Hamdok e degli altri membri del governo, invitando i militari a cessare le violenze e gli spargimenti di sangue. Anche l’Italia ha espresso con una nota della Farnesina la sua preoccupazione, auspicando una futura collaborazione tra UE, USA e organismi regionali africani per tornare al più presto sulla via della transizione democratica.