«È un continuo arrampicarsi sugli specchi, non ce la facciamo più»
Umore nero tra i ristoratori costretti a un mese di chiusura. Con lo stop a Pasqua perdite di circa il 70/80% del fatturato
LADISPOLI – Solo asporto e domicilio per bar e ristoranti fino al 30 aprile. Questa la decisione del Governo che dopo Pasqua anziché procedere con delle aperture ha deciso di “sigillare” l’Italia in zona arancione e rossa facendo di fatto sparire la zona gialla. L’unica, oltre alla bianca alla quale almeno fino ad oggi ha avuto accesso solo la Sardegna, in grado di consentire una parziale riapertura a bar e ristoranti con la possibilità del servizio a tavola per i primi fino alle 18 e per i secondi almeno all’ora di pranzo. Uno spiraglio che a Pasqua e Pasquetta avrebbe sicuramente potuto determinare una boccata di ossigeno per attività “martoriate” sin dal marzo scorso e che con il continuo tira e molla da parte del Governo, in termini di aperture e chiusure parziali, vivono in una situazione di incertezza e insicurezza. Tra chiusure e riaperture a singhiozzo, infatti, gli sforzi fatti dalle attività sono stati numerosi e spesso purtroppo non sono riusciti a mantenerle a galla. Come nel caso, ad esempio, dello storico ristorante ladispolano, “Da Alfredo”, che a gennaio di quest’anno ha salutato i suoi clienti abbassando definitivamente la saracinesca dopo 30 anni di onorata attività . «Quest’anno ci ha davvero messo al tappeto e dopo un’attenta analisi abbiamo compreso quanto sia importante, a volte, fermarsi prima che sia troppo tardi». E ora con la nuova colorazione dell’Italia solo di arancione e rosso gli animi non sono certo dei più sereni. «Come al solito a pagare con soluzioni che non risolvono il problema, siamo sempre noi», ha commentato Marco Nica di Assobar. «Con questo tira e molla, aperture e chiusure, ci stanno mettendo in condizione di spendere solo i nostri soldi. Stiamo vivendo nell’incertezza. È un continuo arrampicarsi sugli specchi e non ce la facciamo più». In gioco ci sono posti di lavoro, famiglie che rischiano di ritrovarsi senza più uno stipendio, che attendono ancora la cassa integrazione di gennaio. Investimenti fatti nella speranza di poter tornare a lavorare ma che alla fine cadono nel vuoto con le decisioni prese dal Governo. Con l’asporto e il servizio a domicilio che alla fine si rivelano, per determinate categorie, come quella ad esempio dei bar, dei fuochi di paglia, se non addirittura dannose. «Dobbiamo preparare ovviamente i prodotti da poter vendere (come ad esempio i cornetti) prima dell’arrivo dei clienti, non sono prodotti da poter preparare nell’immediato, e ci ritroviamo poi ogni giorno a dover buttare tutti quei prodotti che durante la giornata non abbiamo venduto». Spreco di risorse ed energie dunque, perché quel poco che riesci a vendere «non copre nemmeno le spese di approvvigionamento». E ora con la zona rossa di Pasqua e Pasquetta le attività di ristorazione vanno verso la perdita di circa il 70/80% come quantificato da Nica. Nel frattempo le spese restano, come gli affitti, le tasse, le bollett, «che per un’attività di ristorazione sono notevoli», come ha fatto notare il ristoratore Giuseppe Napoli che già mesi scorsi aveva puntato i riflettori sull’inadeguatezza dei ristori dati dal Governo, arrivati in ritardo e che «non riescono a coprire le spese che quotidianamente dobbiamo affrontare pur restando chiusi».