LADISPOLI - «Restiamo meravigliati nel constatare come la ricerca del consenso popolare possa in qualche modo offuscare la caratura istituzionale di un Ministro della Repubblica». Il Ministro dell'Interno, Matteo Salvini finisce sotto i riflettori degli avvocati della famiglia Ciontoli.



Proprio nei giorni scorsi i legali della famiglia hanno annunciato la presentazione del ricorso in Cassazione anche per il capofamiglia, chiedendo la cassazione della colpa cosciente che potrebbe portare a un'ulteriore riduzione della pena. E a commentare a questa richiesta era stata proprio il vice premier. «La vita di un ragazzo di vent'anni, ucciso in maniera vigliacca, vale solo cinque anni di carcere1' E gli assassini chiedono anche uno sconto. Vergogna. Questa non è “giustizia”?». Non è la prima volta che il Ministro esprime la sua solidarietà e la sua vicinanza alla famiglia Vannini. Lo aveva fatto già al margine della sentenza di secondo grado. «Purtroppo – hanno detto gli avvocati Miroli e Messina – siamo di nuovo amaramente costretti a prendere atto di come il ministro Salvini preferisca etichettare le sentenze dei giudici e il diritto dei cittadini di ricorrere anche alla Suprema Corte di Cassazione come una “vergogna”, dimostrando, ancora una volta, una pervicacia unica nell'infrangere quell'antico (e non ancora abolito) principio della divisione dei poteri insito in ogni stato di diritto, al quale, evidentemente, il personaggio fatica ad abituarsi. Lungi dal ritenere che l’obiettivo del pop(u)lare Ministro sia stato quello di emergere nell’attuale agone politico, vogliamo, tuttavia, ricordargli, senza alcuna vena polemica, come l’ordinamento giudiziario, in quanto tale, non può ridursi ad assecondare i desiderata della cosiddetta “opinione pubblica” imperante in un dato momento storico, ma deve porsi quale strumento supremo di garanzia della tutela dei diritti e caposaldo del nostro ordinamento giuridico, con il compito esclusivo della fedele applicazione della legge. Facciamo, inoltre, sommessamente presente che nella nostra Carta fondante è sancito, in più punti, il diritto irrinunciabile alla difesa giurisdizionale dei diritti all’interno di un processo “equo”, dinnanzi ad un giudice terzo ed imparziale, nel contraddittorio delle parti; lo stesso diritto che, giustamente, vanta un autorevole membro del suo partito, attualmente sottoposto ad indagini, per il quale, al contrario, abbiamo notato da parte dello stesso Ministro un solerte, quanto granitico garantismo, che ci fa ben sperare per il futuro. Auspichiamo, quindi - hanno concluso Miroli e Messina - che ulteriori uscite pubbliche non siano dettate esclusivamente dalla smania di emergere, quanto, piuttosto, dalla volontà di esprimere autorevoli considerazioni e lucide valutazioni, magari degne della carica istituzionale ricoperta». Intanto sempre il Ministro dell'Interno è tornato sulla vicenda anche dopo la manifestazione di mercoledì a Civitavecchia. «Non faccio né il giudice né il magistrato – ha risposto ai giornalisti che gli hanno sottoposto la vicenda relativa a Vannini – Posso offrire il mio sostegno alla famiglia e dire che è una vergogna che la vita di un ragazzo di 20 anni, ucciso in maniera vigliacca, costi 5 anni. Che tra indulti, sconti di pena, diventa la metà. Non puoi uccidere un ragazzo con la complicità dei familiari, indossando una divisa e scontare cinque anni. Posso esprimere il mio sostegno – ha ribadito il Ministro che ha anche parlato telefonicamente con la mamma di Marco, Marina Conte – Marco non torna in vita ma chi ha sbagliato paghi il giusto».